La stampa angolana e internazionale sta da giorni diffondendo le voci di una situazione clinica gravissima e addirittura irreversibile per l’ex-presidente angolano, l’“imperatore” José Eduardo dos Santos, detto Zedú. Dal 23 giugno ricoverato in una clinica privata di Barcellona, dos Santos è affetto da un tumore alla prostata che si sarebbe aggravato nelle ultime settimane. Ottanta anni da compiere ad agosto, dos Santos è assistito permanentemente dai propri familiari, soprattutto le due figlie, Tchizé e Isabel.
Come da uomo politico, uno dei più potenti dell’Africa, era stato divisivo e accusato dei peggiori reati, così oggi, probabilmente con pochi giorni di vita davanti, le dispute sul suo conto non finiscono di placarsi.
Da un lato, fonti semi-ufficiali lo danno per cerebralmente morto, col solo organo cardiaco che continuerebbe a battere regolarmente, senza l’aiuto delle macchine. Un tentativo, fatto pochissimi giorni fa, di svegliarlo dal coma sarebbe fallito, a dimostrazione che le sue attività cerebrali sono ormai definitivamente compromesse. Dall’altro, le figlie, decise a non staccare le macchine che tengono ancora l’ex-presidente attaccato alla vita.
In mezzo, polemiche durissime fra le due parti, con la figlia Tchizé che ha augurato al presidente angolano, João Lourenço, di preparare il suo di funerale, piuttosto che quello del padre. Lo scontro è stato talmente aspro, nelle ultime ore, che proprio la figlia di Zedú avrebbe accusato Lourenço di avere organizzato un complotto, inviando l’attuale ministro degli esteri, Tete António, per dare l’ordine ai medici spagnoli di staccare le macchine, favorendo così il decesso dell’ex-presidente.
Oltre a smentire il fatto, che in effetti appare piuttosto fantasioso, il governo continua a sottolineare come stia sostenendo tutte le spese sanitarie per assistere José Eduardo dos Santos in queste ore difficili, avendo espresso il desiderio di celebrare funerali di stato, a cui naturalmente la famiglia ha già dichiarato di opporsi.
La tensione di questi giorni ha radici lontane e potrebbe avere conseguenze politiche negative sul partito dell’ex e dell’attuale presidente, l’Mpla. Va infatti ricordato che João Lourenço, appena insediatosi alla presidenza dell’Angola, aveva promosso una lotta senza quartiere (poi sgonfiatasi nei mesi successivi) contro la corruzione e il sistema di governo che era stato montato da José Eduardo dos Santos in circa quarant’anni di dominio del paese.
I suoi familiari, in particolare, erano stati colpiti direttamente sia dal punto di vista politico che giudiziario: la figlia Tchizé – deputata dell’Mpla – era stata costretta, nel 2019, a fuggire dal paese (a suo dire perché stava correndo rischio di vita), espulsa dal comitato centrale del partito, perdendo anche il seggio in parlamento, mentre Isabel, un tempo la donna più ricca dell’Africa (patrimonio di 3,5 miliardi di dollari, secondo Forbes) è stata messa sotto accusa dallo stato angolano, e tre paesi le hanno congelato i beni. Infine, il figlio, José Filomeno, è stato da poco condannato a cinque anni di prigione per corruzione in Angola.
A fronte di un passato molto burrascoso, la questione dos Santos potrebbe avere un impatto politico negativo in vista delle prossime elezioni presidenziali, previste ad agosto di quest’anno.
Se, da un lato, l’Mpla sta cercando di usare questa vicenda per compattare il proprio fronte interno, convincendo i molti ex-dignitari della corte dell’imperatore a votare per João Lourenço, una parte della popolazione potrebbe pensare a un pericoloso riavvicinamento a quel sistema di governo cleptocratico che aveva fatto precipitare l’Angola fra i paesi più corrotti al mondo.
Insomma, il coma di Zedú non è soltanto dramma umano, ma anche crisi di nervi collettiva di un partito e di un paese che non può che dividersi anche di fronte a un evento estremo, quale quello della possibile scomparsa della figura più importante della storia angolana recente.