Angola, modello di cleptocrazia di stato
Angola Politica e Società
L’eredità di José Eduardo dos Santos
Angola, un modello di cleptocrazia di stato
L’ex presidente, morto l’8 luglio, ha gestito il paese per quasi 40 anni. Da eroe nazionale incontrastato a figura che ha badato solo alle proprie casse personali. Con la sua presidenza si è ampliata la frattura fra ricchi e poveri. La famiglia ha chiesto un’autopsia, perché crede in una cospirazione
11 Luglio 2022
Articolo di Luca Bussotti
Tempo di lettura 4 minuti

Non c’è stata alcuna sorpresa. José Eduardo dos Santos, detto Zedú, l’eterno presidente dell’Angola, ha dovuto soccombere lo scorso 8 luglio, in un ospedale privato di Barcellona, a una malattia che da anni lo vedeva combattere, in condizioni sempre più disperate. Anche dopo la morte, la famiglia non ha risparmiato accuse infamanti verso il presidente João Lourenço e l’attuale esecutivo, culminate nella richiesta, da parte della figlia Tchizé, di un’autopsia sul cadavere dello statista. La famiglia ha parlato di una cospirazione per uccidere suo padre per impedirgli di sostenere l’opposizione nelle imminenti elezioni angolane.

In questo lacerante conflitto è sintetizzata tutta la vicenda politica di Zedú. Amore e odio, potere e impotenza, perdono e rabbia.

Successore di Neto

La parabola politica di José Eduardo dos Santos era iniziata con la morte di Agostinho Neto in Russia, nel lontano 1979. Un’eredità non semplice, visto che Neto si era guadagnato una statura politica internazionale, culminata con riconoscimenti di assoluto prestigio, come il Premio Lenin per la pace nel 1975-76. La prematura scomparsa, nel 1979, aiutò a farlo assurgere a eroe nazionale incontestato, nonostante si fosse reso protagonista, fra l’altro, dell’episodio più drammatico dell’Angola: la strage del 27 maggio del 1977, quando decise di reprimere nel sangue un presunto colpo di stato dell’ex-ministro Nito Alves, facendo torturare ed eliminare un numero imprecisato di angolani. Si è parlato di una cifra che oscilla fra i 20mila e i 50mila.

Guerra civile con Unita

Fu in questo clima terribile di guerra civile con l’UNITA di Jonas Savimbi e di caccia alle streghe rispetto ai “frazionisti interni” che il nuovo astro nascente, rappresentato da dos Santos, emerse come figura di consenso nel l’Movimento popolare di liberazione dell’Angola (MPLA).

Una carriera politico-militare alle spalle, una laurea in ingegneria petrolifera ottenuta in Unione Sovietica, nel 1969, Dos Santos si era fatto le ossa nel partito di cui fu anche co-fondatore. Nel 1975 assunse, nel primo governo angolano indipendente, il ruolo di ministro degli esteri, per poi succedere ad Agostinho Neto. Nei primi anni fece fronte, con moderazione, a emergenze quali la guerra civile e il conflitto con le truppe sudafricane, a cui quelle cubane si stavano opponendo. Le sue abilità diplomatiche servirono per non permettere la distruzione totale del paese, che nel frattempo stava diventando uno dei giganti africani nella produzione di petrolio.

La parte, forse, peggiore della parabola politica di Dos Santos iniziò dopo il raggiungimento della pace con l’UNITA, nel 1991 (Accordi di Bicesse). Nelle prime, contestate elezioni libere del paese, nel 1992, Dos Santos non riuscì o non volle evitare un nuovo conflitto, terminato con la morte di Savimbi soltanto nel 2002.

Intimidazione e repressione

Ancora peggiori furono gli ultimi anni del suo governo, dal 2002 al 2017. Con la pace, Zedú costruì una democrazia soltanto formale, in cui intimidazione, repressione e frodi elettorali fecero dell’Angola uno dei paesi considerati non democratici, nel contesto africano.

Il potere continuò a essere centralizzato, tanto che mai, in Angola, si sono svolte elezioni locali. La corruzione divenne prassi del potentissimo presidente e dei suoi accoliti, boiardi di stato e figli, a partire dalla “principessa” Isabel.

Principale esponente della colonizzazione finanziaria dall’Angola verso Europa e Sudamerica, Isabel arrivò a detenere un patrimonio personale di circa 2 miliardi di dollari, e partecipazioni in 424 imprese, concentrate fra Portogallo e Brasile.

Nel 2020 il Luanda Leaks la vide coinvolta in prima persona, segnando la fine del suo impero economico-finanziario. Il padre si era dedicato soprattutto alla gestione del petrolio domestico.

Human Rights Watch e Fondo monetario internazionale calcolarono, al tempo, che soltanto fra il 1997 e il 2002 circa 4,2 miliardi di dollari sparirono dalle casse dello stato mediante operazioni finanziarie non trasparenti, utilizzando il Banco centrale dell’Angola come veicolo per effettuare queste enormi transazioni illecite, di cui beneficiò la famiglia di José Eduardo dos Santos. Una cifra che corrispondeva all’intera spesa sociale e umanitaria nazionale del periodo.

L’eredità principale dell’ex presidente, almeno all’indomani della sua morte, è proprio questa: un paese modello di cleptocrazia di stato, di familismo e di enormi contrasti fra ricchi e poveri, che stenta a trovare un cammino meno diseguale e più trasparente.

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