I paesi dell’Africa australe, i loro governi e le loro società civili, continuano a chiedere al mondo di prestare attenzione alla siccità che attanaglia la regione e che ne colpisce un abitante su sei. La devastante scarsità di piogge a cui si assiste è indotta dal fenomeno climatico ciclico noto come El Niño ed è peggiorata nelle sue conseguenze dai cambiamenti climatici.
Solo pochi mesi fa i 16 paesi che compongono la Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (SADC) avevano lanciato un appello alla comunità internazionale per 5,5 miliardi di dollari di aiuti umanitari, da mettere insieme per sostenere le necessità urgenti di 61 milioni di persone.
Quelle cioè, maggiormente interessate dalla mancanza di precipitazioni che si sta manifestando nella regione e che ha causato una drastica diminuzione nei raccolti di prodotti agricoli di prima necessità come il grano. La siccità ha già costretto i governi di Zimbabwe, Malawi e Zambia ha dichiarare lo stato di emergenza a livello nazionale.
Adesso la SADC, nel corso del suo 44esimo, controverso (per ragioni politiche, legate alle denunce di repressione da parte del governo dello Zimbabwe) summit che si è tenuto a Harare, ha portato a 68 milioni la stima delle persone che soffrono a causa della siccità, ovvero il 17% dei 363 milioni di persone che abitano i territori compresi dalla comunità.
A denunciarlo è stata la segreteria generale dell’organismo, Elias Magosi, come rilanciato da diversi media internazionali. La dirigente ha aggiunto: La stagione delle piogge del 2024 è stata impegnativa, poiché la maggior parte della regione ha subito gli effetti negativi del fenomeno El Niño, caratterizzato dall’inizio tardivo delle piogge.
Fondi che mancano
L’incontro fra i leader di stato e di governo della SADC è stata l’occasione per rilanciare l’appello umanitario già citato dello scorso maggio, come si legge nel comunicato finale dei lavori di Harare. In modo particolare, è tornato sulla questione il presidente uscente dell’organizzazione regionale, il capo di stato dell’Angola Joao Lourenço, colui che tre mesi fa aveva chiesto aiuto al mondo.
«Devo dire con una certa apprensione – ha denunciato il presidente in riferimento all’incontro di maggio – che le risorse mobilitate finora sono ben al di sotto della stima definita nell’ultimo Summit, quindi vorrei ribadire lo stesso appello ai partner nazionali, regionali e internazionali, al settore privato e degli Stati membri, affinché compiano uno sforzo ulteriore per avvicinarci alle cifre di cui abbiamo bisogno, al fine di fornire assistenza alle persone colpite nella nostra regione da El Niño».
Un fenomeno, questo, che ha carattere ciclico e che si manifesta in origine con un surriscaldamento delle acque di superficie di alcune regione dell’Oceano Pacifico. L’aumento delle temperatura provoca un effetto domino globale di eventi climatici estremi, come la siccità, che appunto sta colpendo l’Africa australe come già avvenuto più volte in passato.
A peggiorare le cose c’è però anche l’aumento delle temperature medie della terra che si sta verificando per ragioni antropiche e che ha prodotto la crisi climatica.
Mentre la correlazione diretta fra quest’ultima e un peggioramento delle condizioni prodotte dal Nino o di incremento della sua frequenza è ancora materia di studio per gli esperti – e diversi studi sembrano comunque sostenerlo – quel che è certo che l’acuirsi degli eventi climatici estremi causati dal climate change si somma agli effetti del Niño.
L’appello della società civile
Il sostegno all’Africa australe davanti alla crisi climatica è al centro di un appello lanciato durante il cosiddetto SADC people’s summit, un incontro delle organizzazioni delle società civile degli Stati membri della Comunità che si riunisce in contemporanea con il vertice istituzionale e sempre nella stessa città.
Durante questa manifestazione, appunto ad Harare, gli attivisti hanno chiesto al Nord Globale di prendersi le sue indubbie responsabilità nella genesi della crisi climatica e di mettere a disposizione dei paesi del Sud Globale 5mila miliardi di dollari all’anno per la mitigazione delle conseguenze del fenomeno.
Una valutazione non troppo distante da quelle delle Nazioni Unite, secondo cui i paesi emergenti avranno bisogno di 5.500 miliardi di dollari all’anno fino al 2030 per poter combattere gli effetti dei cambiamenti climatici, ridurre le emissioni e proteggere la loro biodiversità.