Nel calcio è caduto un altro “soffitto di cristallo”, direbbero nel mondo anglosassone. Per la prossima Coppa del Mondo, infatti, la Fifa ha annunciato la presenza di tre arbitri donna, a cui si aggiungeranno anche tre assistenti, sempre di sesso femminile.
Una scelta dettata esclusivamente dal merito, e non da una questione di quote di genere da rispettare, come ha spiegato Pierluigi Collina, il responsabile arbitrale della federazione mondiale: «Per noi conta la bravura e la qualità di un arbitro, e non il suo genere. Spero che in futuro questa cosa venga percepita come sempre più normale e non faccia così tanto notizia come accade magari adesso».
Oltre alla pluridecorata francese Stéphanie Frappart, la prima donna ad aver arbitrato una gara di Ligue 1 e fischietto dell’ultima Supercoppa Europea tra Liverpool e Chelsea, e la meno nota giapponese Yoshimi Yamashita, primo fischietto rosa del campionato nipponico, ci sarà anche un’africana: Salima Mukansanga.
Il fischietto rwandese è garanzia di qualità: dopo aver raggiunto l’eccellenza a livello femminile, dirigendo gare di Coppa d’Africa e Caf Champions League femminile, ha arbitrato anche alcuni confronti alle ultime Olimpiadi di Tokyo.
Ma soprattutto ha già esperienza nell’universo maschile, avendo diretto Guinea-Zimbabwe dell’ultima Coppa d’Africa (dopo aver fatto anche da quarto assistente in Guinea-Malawi), entrando nella storia come la prima donna ad aver arbitrato una gara del più importante torneo per nazionali del continente africano.
Cresciuta nel distretto di Rusizi, nella provincia occidentale, e laureata in infermieristica e ostetricia, ha scoperto la sua vocazione per l’arbitraggio durante ultimo anno di scuola alla St Vincent de Paul Musanze Secondary School, quando si è trovata a condurre la finale di un torneo scolastico.
Quello con il calcio è stato amore a prima vista, anche se un po’ inaspettato, considerando la sua passione per il basket: «Mi piaceva il basket e volevo prenderlo molto sul serio, ma l’accesso alle strutture e agli allenatori di basket era complicato. È così che mi sono ritrovata ad arbitrare partite di calcio», ha rivelato in un’intervista di qualche anno fa al New Times.
L’ascesa verso l’élite è stata fulminante. Nel 2004, a 16 anni, ha diretto la sua prima gara in Coppa d’Africa femminile (Zambia-Tanzania): «È stata un’esperienza emozionante. Da quel giorno, mi è stato affidato l’incarico di arbitrare innumerevoli partite internazionali in Africa e oltre».
È stato quello l’inizio di un percorso da predestinata, che in pochi anni l’ha portata ad arbitrare partite di tutte le più importanti competizioni continentali a livello femminile, guadagnandosi lo status di miglior direttore di gara femminile d’Africa.
Ne è convinto Nicholas Musonye, ex segretario generale della Cecafa (la sotto-confederazione dell’Africa Orientale): «Ho avuto a che fare con lei per molto tempo. Ho subito capito che avrebbe fatto molta strada nel calcio. La cosa che più mi ha impressionato è stata la sua continua voglia di imparare. Salima non ha paura di mettersi in discussione quando questo serve per crescere».
L’approdo nel circuito maschile, con la Coppa d’Africa e adesso il Mondiale, però, sono molto più che il coronamento di una carriera pronta definitivamente a decollare. In un’edizione come quella qatariota, segnata dalle polemiche per le numerose morti degli operai impiegati nei cantieri e quelle della comunità Lgbtq+ per l’ostracismo di Doha nei confronti degli omosessuali, la sua designazione (così come quella delle sue colleghe) lancia un messaggio di speranza per il futuro. Dell’Africa e non solo.