C’è un numero detestato da aziende “armate”, governanti di destra e vertici militari. È il 185. Abbinato al 1990. Anno di approvazione della legge, la 185 appunto, che disciplina il commercio di armi in Italia.
La riprova si è avuta il 3 luglio scorso in occasione dell’Assemblea generale dell’Aiad, tenuta presso il Centro alti studi della difesa (Casd), diretto dall’ammiraglio Giacinto Ottaviani.
L’Aiad è il “sindacato” della quasi totalità delle imprese ad alta tecnologia che esercitano attività di progettazione, produzione, ricerca e servizi nei comparti aerospaziale, civile, militare navale e sistemi elettronici. Insomma, la trincea dell’industria bellica italiana.
La santa trinità “armata”
Alla giornata hanno partecipato, oltre ai responsabili delle industrie del comparto, il ministro della difesa (ed ex presidente di Aiad) Guido Crosetto e i vertici delle Forze armate: la santa trinità del complesso politico-militare-industriale italiano.
Un resoconto dettagliato dell’avvenimento è stato riportato sul sito della Rivista italiana difesa (Rid), per mano del suo direttore, Pietro Batacchi. Un racconto, quindi, che si suppone assai fedele rispetto a contenuti emersi.
Contenuti per nulla sobri. E che dovrebbero alzare le antenne del pericolo per tutto il mondo della pace. Il titolo dell’articolo è un’efficace sintesi dei ragionamenti della giornata: Export militare, aggiornare la Legge 185 e basta “banche etiche”.
Intervenire sulla 185
Soprattutto per i “commercianti” della difesa «bisogna assolutamente intervenire sull’architettura della legge e sulle modalità con le quali questa regola il settore dando vita a processi autorizzativi estremamente lunghi e a incrostazioni burocratiche che creano difficoltà e “frizione”». In questi termini, secondo Batacchi, si sono espressi «dapprima il Segretario generale della difesa-direttore nazionale degli armamenti, il generale Luciano Portolano, seguito a ruota dal segretario generale dell’Aiad, Carlo Festucci, e da Antonio Alunni, in rappresentanza delle piccole e medie imprese.
A loro dire la 185 «impedisce alle nostre aziende di essere competitive». Portolano ha ricordato che «oggi il 70% del fatturato industriale viene dall’export».
Le geremiadi di Festucci
Per la verità, nulla di nuovo. Le geremiadi di Festucci, ad esempio, durano da anni. In ogni commissione parlamentare in cui è stato invitato il refrain è sempre quello. Eppure il mondo delle aziende militari soffre l’etichetta di “mercanti di morte”. L’ha affermato candidamente anche Giuseppe Cossiga, attuale presidente Aiad, già il 23 marzo scorso. «Quello che non si riesce a trasmettere è l’importanza di poter disporre di un’industria della difesa sovrana».
Crosetto in trincea
Ma oggi ci sono tutte le condizioni perché si realizzi il desiderio di Cossiga. Perché rispetto al passato al ministero della difesa c’è uno di loro. Guido Crosetto, il king maker di Meloni sui temi militari, ha indossato l’elmetto nella trincea della rappresentanza dell’industria bellica fin dal 2014. E se l’è tolto, almeno formalmente, l’autunno scorso quando è entrato nell’esecutivo di destra.
Il colosso di Cuneo ha sempre dimostrato di avere una passione sfrenata per questo mondo. In passato ha detto che si tratta di «un settore ad altissimo valore aggiunto. Uno dei pochi asset strategici e tecnologici rimasti in questo paese. Il problema è che non c’è abbastanza produzione per soddisfare una domanda di investimento in tutte le nazioni». Tradotto: si producono ancora troppe poche armi. Ma con la guerra in Ucraìna si sta recuperando terreno. Purtroppo.
Anche a suo avviso, la 185 è una legge che ingabbia. Prevede troppi lacci e lacciuoli. Troppa burocrazia. «Non esiste che una legge metta in capo alla Farnesina le decisioni sul settore della difesa», uno dei suoi numerosi commenti di “apprezzamento”
Ora ha la possibilità, con la sua maggioranza parlamentare, di cambiarne i connotati.
«Non esistono banche etiche»
Ma il tema che in assoluto lo fa andare su tutte le furie è quello delle “banche etiche”. Quelle che talvolta si rifiutano di mettere a disposizione i loro servizi alle imprese militari che operano in teatri di guerra o in assenza di diritti civili. «È davvero critico l’atteggiamento delle banche che arrivano a bloccare pagamenti dall’estero nonostante siano autorizzati da diversi ministeri e con arroganza decidono di chiudere i rubinetti ad attività del tutto legali». Sul tema usa toni sprezzanti: «Le aziende non riescono a lavorare. Più sono piccole, e minori sono i loro affari, e più le banche diventano etiche. Ma la stessa banca diventa meno etica se sul tavolo c’è un affare da un miliardo di euro». Ed è ritornato sul tema anche nel suo intervento conclusivo all’Aiad: «Perché una banca non dovrebbe supportare un’operazione che è legale?».
Da qui l’idea di creare (loro la chiamano «necessità») «una banca ad hoc per supportare l’export militare».
Farsi una banca
Anche questa, per la verità, non è una novità. In commissione difesa lo stesso Crosetto l’anno scorso aveva auspicato che Mediobanca e Banca Popolare di Puglia finissero nella galassia del ministero economia e finanze (Mef). Come in effetti è avvenuto. «A quel punto diventeranno le banche del sistema e le uniche con cui si potrà lavorare tranquillamente. Perché avuta l’autorizzazione dalla Farnesina, dal ministero della difesa e dal Mef, una banca pubblica non può dire di no come fanno le altre banche».
Una banca, quindi, da finanza e moschetto.