Il peso della corruzione sistemica e della conseguente crisi economico-finanziaria che da decenni opprimono lo Zimbabwe, sta spingendo le autorità a svendere in ogni modo il proprio patrimonio faunistico. Dopo la cessione di elefanti ai parchi di Cina e Dubai, nel 2019, Harare torna all’attacco chiedendo di poter vendere l’avorio sequestrato negli anni, per un valore stimato di 600 milioni di dollari. Ci aveva già provato, sempre tre anni or sono, ma senza risultati.
Il 16 maggio il direttore generale dell’autorità zimbabwana dei parchi e della fauna selvatica (Parks and Wildlife Authority), Fulton Mangwanya, ha chiesto agli ambasciatori europei ad Harare il sostegno dei loro paesi per la vendita del suo stock di avorio e corna, il cui commercio è vietato dalla Cites (Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione), organismo che ne disciplina il divieto dal 1989.
Mangwanya ha detto che il suo paese ha 163mila tonnellate di zanne di elefante e 67 tonnellate di corno di rinoceronte nei suoi magazzini e che «L’onere di dover gestire un’azione da cui non possiamo trarre vantaggio economico è doloroso per noi».
Nel tentativo di ingraziarsi i diplomatici europei è stato offerto loro un tour nei luoghi in cui è conservato l’avorio ad Harare e Mangwanya ha assicurato che, se la vendita fosse autorizzata, i profitti andrebbero alle comunità locali vicino alle riserve animali.
Ma la manovra non sembra aver sortito gli effetti desiderati, vista la piccata reazione dell’ambasciatore svizzero Niculin Jager che ha fatto notare che «La conservazione e la prevenzione del commercio illegale di specie selvatiche sono questioni internazionali, dovute al coinvolgimento di organizzazioni criminali».
Con una stima di 100mila esemplari, lo Zimbabwe ha la seconda popolazione di elefanti al mondo dopo il Botswana che, sempre per fare cassa, nel 2019 ha rimosso il divieto di caccia. Una popolazione che nel paese aumenta a un ritmo del 5% all’anno, compensando in parte le perdite in altri paesi del continente, sempre più colpiti da bracconaggio, caccia grossa, espansione delle attività umane (estrazioni minerarie e infrastrutture in primis) e dalla sempre più prolungata scarsità d’acqua.
Di tutt’altro avviso la presidente della Tanzania Samia Suluhu Hassan che, sulla scia conservazionista del vicino Kenya, ha ribadito nei giorni scorsi che il paese non metterà all’asta l’avorio e le corna di rinoceronte confiscate, pari a circa 100 tonnellate.
Sull’altro fonte le organizzazioni ambientaliste che chiedono la distruzione dell’avorio immagazzinato. Secondo Save the Elephant, bruciando l’avorio, il governo risparmierebbe 75mila dollari spesi ogni anno, utilizzati per proteggere le zanne sequestrate dai furti.
L’ultimo censimento aereo della fauna selvatica della Tanzania, effettuato ormai sette anni fa, mostrava un forte calo del numero di elefanti da oltre 39mila nel 2009, a 13mila nel 2015. Nel 2020 il più recente censimento della fauna selvatica aveva mostrato un lieve aumento degli elefanti nell’ecosistema del Serengeti passati da 6.087 nel 2014 a circa 7.061 nel 2020. In generale recenti studi hanno rivelato come i pachidermi, per evitare l’estinzione abbiano in alcune zone iniziato a non sviluppare più le zanne.