Ci siamo quasi abituati a sentir parlare di specie in via di estinzione, di quanto la fauna africana si sia riducendo, di quanto l’ambiente da decenni ormai stia pagando le conseguenze di un rapporto insano tra l’uomo e la natura.
Ai ripetuti allarmi se ne aggiunge ora un altro: quello che riguarda gli avvoltoi. Anche questi – volatili che di solito non generano la simpatia riservata ad altri animali – stanno rapidamente scomparendo dai cieli africani.
Lo rivela uno studio pubblicato su Nature Ecology & Evolution. Delle 42 specie di predatori e spazzini della savana esaminati, il calo complessivo risulta dell’88%. Nella categoria rientrano anche specie autoctone come la poiana Augur, l’aquila-serpente di Beaudouin, e l’avvoltoio di Rüppell. Di quest’ultimo in particolare, un tempo un uccello molto comune, ora ne sono rimasti circa 22mila esemplari.
I motivi di queste “sparizioni” sono noti: distruzione degli habitat, rapida urbanizzazione, caccia di frodo, crescita esponenziale della popolazione. Ma i rapaci muoiono in gran numero anche a causa delle trappole, delle linee elettriche in rapida espansione nel continente e di avvelenamento, sia accidentale che intenzionale. Si tratti di veleni utilizzati in agricoltura come i pesticidi, oggi molto più disponibili rispetto a 40 o 50 anni fa.
Quello che non immaginiamo (o su cui preferiamo non soffermarci) sono i danni che tutto ciò provoca e provocherà alla salute dell’ecosistema. Dopotutto, tanto per dirne una, molti avvoltoi e aquile sono spazzini che rimuovono ogni anno il 70% delle carcasse dal continente.
Inoltre – come spiegano gli esperti al National Geographic – questi rapaci sono molto utili in agricoltura poiché mangiano roditori, insetti, parassiti. E la loro attività è addirittura in grado di prevenire malattie.
Arrivano infatti alla carcassa entro poche ore dalla morte di un animale, e se questo fosse portatore di malattie l’azione di “pulizia” dell’avvoltoio eliminerebbe o diminuirebbe la loro diffusione.
La situazione critica non deve far pensare però che non si stia facendo nulla per contrastare la decimazione che sta colpendo questi avvoltoi. Da anni ci sono gruppi specializzati che non solo monitorano i territori – grazie a GPS e videocamere – ma sono pronti a intervenire in fretta a richieste di intervento nel caso, per esempio, di rapaci avvelenati e somministrare prontamente degli antidoti.
Esistono persino gruppi whatsapp dedicati, attraverso cui organizzazioni ambientaliste, operatori sul campo ed esperti si tengono costantemente collegati e informati, e pronti ad intervenire coinvolgendo le comunità e le autorità.
Altre soluzioni includono il divieto dei veleni (che come possiamo immaginare non sempre viene rispettato) e, addirittura, la modifica della progettazione delle linee elettriche. Ma un’altra azione importante sarebbe riservare più terra alle riserve protette. Attualmente solo il 14% del territorio africano è riservato alla fauna selvatica.
In questi anni sono stati lanciati molti appelli ad aumentare l’area globale protetta per la conservazione, appelli confortati da studi accurati. Questo naturalmente presuppone anche un notevole sforzo economico e magari avere maggiore accesso ai sussidi specifici per la conservazione dell’ambiente.
In Africa ci sono 1.967 siti identificati come Key Biodiversity Areas. Fatto è – sottolinea Africa Geographic – che esiste un gap tra la percentuale considerata terra protetta e quella che è effettivamente gestita e controllata come tale.
E qui torniamo ai rapaci: le grandi distanze tra le aree protette potrebbero separare le popolazioni di questi uccelli le une dalle altre, e dunque molte specie sarebbero sempre più isolate, i gruppi meno numerosi, più distanti e meno capaci di scambiarsi geneticamente.
Ma, come accennavamo, al di là di quest’ultimo allarme l’elenco delle specie in pericolo in Africa negli anni non è diminuito, Anzi. Tra le dieci specie più in pericolo c’è il rinoceronte nero, l’elefante, il gorilla, il ghepardo, cane selvatico, la gazzella Dama, il pinguino della Namibia e del Sudafrica.
Per proteggerli ci si affida soprattutto alla salvaguardia sul campo con ranger, strumentazioni e perfino cani antidroga addestrati in questo caso per fermare i trafficanti di fauna selvatica.
Ma se i grandi interventi spettano ai governi e alle organizzazioni deputate, non va mai minimizzato il ruolo dei singoli. Semplici regole di vita e di comportamento. Che almeno possa farci dire: ho cercato di fare la mia parte.