L’economia dell’Africa subsahariana rallenta sempre di più la sua crescita, al punto che il periodo che va dal 2015 al 2025 rischia di essere ricordato come un “decennio perduto”. Pesa la crescente instabilità politica certo, ma il fardello del debito continua a giocare un ruolo fondamentale: il pagamento degli interessi su quanto dovuto ai creditori stranieri fagocita in media quasi un terzo delle entrate della regione.
L’istantanea emerge dalle previsioni semestrali della Banca Mondiale, contenute nel rapporto Africa’s Pulse, pubblicato in settimana.
Stando ai dati del documento, nel 2023 il prodotto interno lordo (PIL) dell’Africa subsahariana è aumentato del 2,5%, in calo rispetto all’aumento del 3,6% registrato l’anno scorso. È previsto un rimbalzo nel 2024 e poi nel 2025, con incrementi rispettivamente del 3,7 e del 4,1%.
A trainare la tendenza al ribasso sono le maggiori economie del continente. Il Sudafrica, dove imperversa una crisi del settore dell’energia che non ha precedenti, la crescita prevista è dello 0,5 contro il +1,9% del 2022. In Nigeria e Angola, principali produttori africani di petrolio, si prevede un calo rispettivamente dal 3,3 al 2,9% e dal tre all’1,9%.
Un dato particolarmente drammatico è quello del Sudan, prostrato da circa sei mesi di guerra civile. A Khartoum è prevista una contrazione del 12%. Se dalla previsione a livello regionale si escludessero i numeri che arrivano dal paese saheliano la crescita starebbe al +3,1%.
A livello di reddito procapite poi, nell’Africa subsahariana non si registra un incremento dal 2015. Anzi, sul decennio 2015-2025 si osserva una contrazione media annuale dell’0.1%.
La decrescita si traduce in mancata capacità di creare posti di lavoro e di contrastare la povertà. Stando a quanto rileva la Banca Mondiale, in Africa ogni anno si generano tre milioni di nuovi posti di lavoro nonostante i giovani che accedono al mercato siano oltre dieci milioni.
Molta della forza occupazionale rimane quindi disoccupata o accede al sistema di lavoro informale. Quest’ultimo è una componente fondamentale dell’economia dei paesi dell’Africa subsahariana e rappresenta circa un terzo del PIL delle nazioni a basso e medio reddito secondo il Fondo monetario internazionale.
Il tasso di cittadini che vivono al di sotto della soglia di povertà di 2,15 dollari al giorno è invece diminuito di solo 0,4 punti percentuali dal picco del 37,6% toccato durante la fase acuta della pandemia di Covid-19, nel 2020. Questo si traduce in aumento del numero assoluto di persone in sofferenza dal punto di vista economico, che passano da 433 a 462 milioni.
I motivi della decrescita
Le ragioni di questa sostanziale decrescita sono diverse. Conta l’aumento dell’insicurezza e dell’instabilità politica, esemplificata dai nove golpe in sette paesi a cui si è assistito dal 2020. Una constante è però rappresentata dal giogo del debito: nella regione i paesi a rischio o in sofferenza debitoria sono 21 su un totale di 48.
I servizi sui pagamenti si mangiano poi il 31% delle entrate nelle casse degli stati subsahariani, consumando risorse che potrebbero essere destinate a programmi di sviluppo e investimenti pubblici, come evidenzia la stessa Banca mondiale.
Fra i dati positivi che evidenzia il report c’è il calo di circa due punti percentuali dell’inflazione, dal 9,3% del 2022 al 7,3% di quest’anno. Ciò detto, 18 paesi della regione hanno un tasso di inflazione a due cifre od oltre. A pagarne le conseguenze sono soprattutto le fasce più povere della popolazione, che non riescono a far fonte all’aumento dei prezzi di cibo e carburante.
Nel complesso uno scenario piuttosto fosco, che però si presenta come non omogeneo e fornisce spunti di lettura. Nel 2023 l’Unione economica e monetaria ovest-africana (WAEUM), che comprende diversi dei paesi attraversati dagli ultimi golpe, e la Comunità dell’Africa orientale (EAC) , hanno fatto registrare una crescita superiore alla media regionale.