Banca Mondiale: chi è rimasto indietro sta sempre peggio - Nigrizia
Economia Politica e Società
I 26 paesi a basso reddito sono nelle peggiori condizioni da 20 anni a questa parte
Banca Mondiale: chi è rimasto indietro sta sempre peggio
"Leave no one behind" resta sulla carta. I fanalini di coda del mondo più poveri e indebitati
14 Ottobre 2024
Articolo di Brando Ricci
Tempo di lettura 5 minuti
Slums di Kampala, Uganda. Foto di Micheal Kaluba da Wikimedia Commons

Se l’obiettivo era “non lasciare indietro nessuno”, possiamo dire che il mondo ha fallito, almeno finora. I paesi più poveri del pianeta sono infatti sempre più poveri e vulnerabili agli shock globali che ciclicamente, sempre più a ridosso l’uno dall’altro, investono il nostro mondo.

Ad affermarlo non è un gruppo di attivisti e neanche papa Francesco, ma un nuovo studio della Banca mondiale sulla vulnerabilità economica dei 26 Lower income countries (LICs), i paesi a più basso reddito del mondo. Ventidue di questi si trovano in Africa, fra questi vi sono importanti paesi del continente come Repubblica democratica del Congo, Etiopia e Mozambico. Il report è stato pubblicato a pochi giorni dall’inizio delle assemblee annuali di Banca mondiale e Fondo monetario internazionale  (FMI). 

Non lasciare indietro nessuno, si diceva. Il motto, nella declinazione inglese Leave no one behind, rappresenta la promessa che informa tutta l’architettura dell’Agenda 2030 per lo sviluppo delle Nazioni Unite. Un principio che è stato rilanciato con forza anche durante la pandemia di Covid-19. Eppure è andata diversamente.

Stando al documento della Banca mondiale, i 26 paesi più poveri del mondo, quelli cioè con un reddito annuo pro-capite medio inferiore ai 1.145 dollari (in Italia, per avere un termine di paragone, è di circa 34.700 dollari) sono più poveri adesso di quanto non lo fossero prima dell’emergenza sanitaria globale.

Nei più poveri fra i LICs, dove più di metà della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà di 2,15 dollari al giorno, il reddito pro-capite medio è diminuito di circa il 14% rispetto ai livelli precedenti alla pandemia. Per raggiungere i loro obiettivi di sviluppo sostenibile, questi ultimi stati dovrebbero più che raddoppiare gli investimenti annuali fatto a questo scopo nell’ultima decade.

Questi paesi, è bene ricordare, rappresentano il 10% della popolazione mondiale e quasi la metà del totale dei paesi poveri del mondo. Sono anche fra i più vessati dal debito pubblico ed estero in modo particolare e la pandemia e le crisi a questa connessa non hanno fatto altre che peggiorare le cose.

Solo nel 2023, il rapporto debito/Prodotto interno lordo delle aree interessate dal documento è aumento del 9% – la crescita più grande degli ultimi 20 anni – assestandosi al 72%, ben oltre la soglia di sostenibilità del 60%.

Sono aumentati anche i tassi di interesse, il cui pagamento nel 2023 è valso più del 10% delle entrate fiscali dello stato. Anche in questo caso, il dato più alto degli ultimi due decenni. Tutti i paesi a basso reddito sono a rischio o ad alto rischio debitorio. Almeno uno, l’Etiopia, è andato in default sul debito dopo l’inizio della pandemia.

Crisi legate 

I dati esposti finora sono da immaginare come il meccanismo di una trappola. Sono legati ognuno con l’altro a livello sistemico e si aggravano reciprocamente, stingendo la morsa sulle economie dei singoli paesi a ogni peggioramento.

Visto lo scenario economico a dir poco complesso infatti, la capacità dei LICs di attirare finanziamenti agevolati o con bassi tassi di interesse – gli unici che potrebbero pensare di poter ripagare in un futuro – è largamente consumata, osserva la Banca Mondiale. Secondo l’istituto di base a Washington, la quota di Pil di aiuti pubblici allo sviluppo destinata a questi paesi è diminuita negli stessi paesi beneficiari fino a raggiungere il 7% nel 2023, la quota più basse degli ultimi 21 anni.

Una serie di fattori questi, che appesantisce la dipendenza dei paesi a basso reddito dagli aiuti erogati dalla Agenzia internazionale per lo sviluppo (International Development Association – IDA), ente della Banca Mondiale che concede sovvenzioni o prestiti a tasso d’interesse prossimo allo zero proprio con l’obiettivo di sostenere gli stati più poveri.

«In un momento in cui gran parte del mondo ha preso le distanze dai paesi più poveri, l’IDA è stata la loro principale ancora di salvezza”, ha affermato Indermit Gill, economista capo e vicepresidente senior per lo sviluppo economico del Gruppo della Banca Mondiale . «Negli ultimi cinque anni, l’agenzia ha riversato la maggior parte delle sue risorse finanziarie nelle 26 economie a basso reddito, mantenendole a galla durante le battute d’arresto storiche che hanno subito».

Se questi aiuti sono di fatto fondamentali, le condizionalità con le quali vengono concessi sono da anni fonte di critiche. I piani di sostegno forniti dalle  cosiddette istituzioni di Bretton Woods, cioè la Banca Mondiale e l’FMI, compresi quelli che partono dall’IDA, richiedono infatti ai governi beneficiari di imporre una serie di riforme che spesso passano per la contrazione della spesa pubblica,  finendo per penalizzare ulteriormente le fasce più vulnerabili della popolazione. 

Impotenti davanti la crisi climatica 

Non da ultimo, i paesi a basso reddito si trovano spesso nel cuore degli hotspot della crisi climatica globale, come il Sahel o il Corno d’Africa. Il risultato è presto detto: dal 2011 al 2023 i disastri naturali – sempre più intensi e frequenti a causa dei cambiamenti climatici – sono costati ai LICs fino al 2% del Pil ogni anno, ovvero cinque volte di più che nei paesi a reddito medio-basso. Stessa proporzione che ritroviamo nei costi dell’adattamento alla crisi, che secondo la Banca Mondiale si aggirano intorno al 3,5% del Pil nei LICs.

In linea teorica, chiude la Banca Mondiale, gli stati più poveri della terra avrebbero la potenzialità per invertire la rotta e avviare una parabola di sviluppo. Basti guardare al capitale di risorse naturali e alla demografia, che dice di una sempre crescente disponibilità di forza lavoro. Numerose però le caratteristiche che frenano qualsiasi prospettiva di sviluppo. Alcune sono strutturali ma puramente endogene, come l’incapacità di raccogliere entrate fiscali e una generale inefficienza al momento di spendere i fondi, anche a causa della corruzione.

Altre cause sono invece sistemiche e chiamano in causa appunto tutto il sistema-mondo: la dipendenza dall’esportazione delle materie prime a esempio, e con loro dalla volatilità dei loro prezzi sui mercati. E poi le guerre, che affliggono due terzi dei paesi a basso reddito. Fra questi, troviamo i teatri di alcune delle crisi più longeve del pianeta, dalla Repubblica democratica del Congo alla Somalia, dal Sud Sudan alla Siria fino allo Yemen.  

Copyright © Nigrizia - Per la riproduzione integrale o parziale di questo articolo contattare previamente la redazione: redazione@nigrizia.it