Il Festival di Rotterdam, oltre a presentare 13 titoli del continente africano, ospita la seconda parte di Creative Producer Indaba programma di formazione per produttori africani indipendenti avviato a novembre durante il Marrakech international film festival.
E proprio dal Marocco è arrivato il film forse più interessante, Birdland (Terra degli uccelli) opera seconda di Leila Kilani, definito dalla stessa regista «un film su una famiglia, gli uccelli e gli adolescenti». Fulcro della vicenda è la vastissima proprietà di Mansouria, sulle alture di Tangeri, un microcosmo che racchiude al suo interno una foresta abitata da cicogne e una ben radicata baraccopoli. Il tentativo di vendere la proprietà da parte di alcuni eredi scatena il caos all’interno della famiglia Bechtani, riunitasi in occasione di un matrimonio.
La regista sceglie il punto di vista della tredicenne Lina appassionata di ornitologia e, come suo padre, il sofferente vedovo Anis, fermamente contraria alla vendita della proprietà. Lina, rimasta muta a seguito della morte della madre, si appunta frasi su tutto il corpo e con lo pseudonimo di Cicogna nera, chatta in diretta con i suoi 24,7 mila followers mentre nella proprietà scoppiano strani incendi e l’agente immobiliare incombe con i bulldozer pronto a radere al suolo le baracche degli abusivi.
Lina e il padre vivono in una dimensione sospesa, irreale, immersi nella natura e attenti ai segni che annunciano l’arrivo della rivoluzione. La narrazione degli eventi si aggroviglia intorno a voci fuori campo, flashback onirici e a una rappresentazione sontuosa e notturna della natura, componendo un film coraggioso e libero.
Noir politico
Una sperimentazione ancora più estrema arriva dalla Namibia con Under the Hanging Tree (Sotto l’albero sospeso) di Perivi Katjavivi un noir politico e metafisico ambientato nel deserto. Le indagini intorno al macabro ritrovamento di carcasse di animali in una tenuta di proprietà di una coppia di tedeschi si trasformano per Christina Mureti, poliziotta di città, in una riscoperta della propria identità herero, popolazione nomade vittima di un genocidio di massa nel cupo passato coloniale della Namibia.
La camera gioca con il paesaggio, lo affronta da diverse angolazioni e giochi di fuoco mentre il ricco tessuto sonoro mescola canti tradizionali con musica classica. Perivi John Katjavivi, formatosi cinematograficamente in Sudafrica insegna cinema e media all’Università della Namibia e porta avanti una ricerca sull’influenza del passato coloniale sulla vita quotidiana in Namibia.
Braccato
Atmosfere noir si ritrovano anche in Shimoni (Fossa) primo lungometraggio della kenyana Angela Wanjiku incentrato sulla lotta di un uomo braccato dal senso di colpa e dai demoni di un oscuro passato. Dopo aver scontato sette anni di prigione, Geoffry, ex insegnante di inglese, viene mandato a lavorare in una fattoria nei pressi del suo villaggio natale. Diviso tra il lavoro manuale e le lezioni di teologia impostegli dal parrocco, Geoffry cerca inutilmente di dimenticare il proprio tragico passato mentre intorno a lui tutti sembrano volerlo redimere e portarlo sulla via di un perdono e di un’impossibile assoluzione.
La sobrietà della messa in scena dialoga con una scenografia densa di immagini religiose che sembrano braccare ancora di più il protagonista, interpretato magistralmente da Justin Mirichii. La regista che ha studiato cinema a La Escuela Internacional de Cine y Televisión (Eictv) de la Havana, lavora come montatrice a Nairobi.
Segnaliamo altri due film. Dall’Egitto il costoso melodramma anticolonialista Kira & El Gin di Marwan Ahmed (The Yacoubian Palace) tratto dal libro di Ahmed Mourad e ambientato durante la rivoluzione del 1919 per l’indipendenza dal Regno Unito.
Dal Burkina Faso il documentario Le taxi, le cinéma et moi di Salam Zampaligre. Una poetica dichiarazione di amore al cinema e al regista Drissa Touré, promessa del cinema tradita dalla crisi strutturale del cinema del continente.