Vent’anni di Bossi-Fini. Intesa come la legge 189 del 30 luglio del 2002, a firma dell’allora vicepresidente del consiglio dei ministri, Gianfranco Fini, e del ministro per le riforme istituzionali, Umberto Bossi.
Vent’anni di una norma che ha il suo “peccato originale” in una legge precedente, la 40 del 6 marzo 1998, meglio nota come Turco-Napolitano, dal nome dell’allora ministra per la solidarietà sociale, Livia Turco, e del ministro dell’interno, e in seguito presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
È infatti a quest’ultima che si deve l’ideazione dei Cpt, Centri di permanenza temporanea, che poi nel tempo diventeranno Cie, Centri di identificazione ed espulsione e infine Cpr, Centri per il rimpatrio. Luoghi nati per “ospitare”, inizialmente per 30 giorni, poi con la Bossi-Fini 60, le persone di origine straniera che arrivano nel nostro paese prive di documenti, in attesa dell’espulsione.
Un’ospitalità che diventa una vera e propria carcerazione: con la Bossi-Fini infatti si introduce, per la prima volta in Italia, la detenzione non legata a fatti di rilevanza penale, ma amministrativa. L’irregolarità, dovuta alla mancanza di documenti che attestino l’identità, diventa reato, “reato di clandestinità”.
Fabbrica di irregolari
La legge a firma Alleanza nazionale-Lega che inasprisce le disposizioni in materia, imprimendo un’accelerata alle politiche restrittive e di contenimento delle immigrazioni, con la giustificazione di voler contrastare le migrazioni irregolari, finisce per avere l’esatto effetto contrario: davanti a una maggiore difficoltà di accedere in maniera regolare all’Italia, all’impossibilità di arrivare e/o restare senza un contratto di lavoro, cresce il numero di coloro che rimangono nel limbo del mancato documento che consentirebbe l’emersione e la possibilità di costruirsi una vita alla luce del sole.
A differenza di quanto prevedeva la legge Turco-Napolitano infatti, cancella, dopo solo tre anni dalla istituzione, la figura dello “sponsor”: la possibilità cioè di fare ingresso in Italia avvalendosi della garanzia di un parente, conoscente o datore di lavoro, che si fa garante dell’ospitalità e di un’iniziale indipendenza economica; la Bossi-Fini permette l’ingresso in maniera regolare solo a chi ha un contratto di lavoro che gli consenta di mantenersi.
Ma non basta. Un giro di vite viene dato anche alla durata dei permessi di soggiorno, legati e concessi per due anni a chi ha un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, uno per tutti gli altri tipi di contratti. Nel caso poi il lavoro si perda o non si raggiunga il reddito minimo previsto per legge, non vi è scampo, c’è il rimpatrio. Se non garantisci di guadagnare non puoi rimanere in Italia. Neanche per cercare una nuova occupazione.
La Bossi-Fini ammette l’uso delle navi militari per contrastare l’arrivo delle persone migranti, così come i respingimenti verso il paese di origine di chi si trova in acque extraterritoriali.
Tra sanatorie e decreti flussi
L’impossibilità di arrivare legalmente in Italia si scontra con il dato di fatto della necessità del paese ad avere manodopera straniera, della consapevolezza della presenza di persone che, nonostante l’irregolarità, già hanno una occupazione e di quelle che sono esposte al rischio dell’illegalità.
Una contraddizione che, proprio a partire dal tempo della Bossi-Fini, viene “risolta” con la più grande sanatoria della storia repubblicana. Tra settembre 2002 e dicembre 2003, infatti, si regolarizzano attraverso questo strumento 247mila lavoratrici e lavoratori.
Un mezzo, questo della sanatoria, che da tempo si accompagna a un’altra ipocrita soluzione, quella dei decreti flussi, attraverso la quale, ciclicamente, si aprono delle finestre per consentire l’ingresso ad alcune categorie lavorative necessarie al mondo del lavoro italiano.
Ero straniero, Io accolgo, il Tavolo Asilo immigrazione, Amnesty, Oxfam. Sono tante le realtà che in questi anni si sono impegnate e continuano a impegnarsi, attraverso raccolte di firme, proposte di legge, incontri istituzionali e convegni, per chiedere non solo la cancellazione della Bossi-Fini, ma una vera riforma lungimirante e strutturale del sistema delle politiche migratorie. Una riforma che garantisca modalità d’arrivo regolare; un’accoglienza diffusa attraverso la dismissione dei Cas, Centri di accoglienza straordinaria, a favore degli ex Sprar oggi Sai; l’integrazione e l’inserimento nel mondo del lavoro.