Como può un sistema elettorale accusato di essere apertamente falsato essere un modello per altri paesi? Se lo sono chiesto le opposizioni politiche in Botswana, che hanno aspramente criticato una missione della locale commissione elettorale nel vicino Zimbabwe, accusando l’ente di essersi recata nel paese per «imparare come manipolare il voto». La visita è stata organizzata dalla commissione, nota come IEC, in vista delle elezioni presidenziali previste per fine anno. L’intento era quello di valutare ed eventualmente prendere come riferimento alcune procedure messe in campo dall’omologo organismo di Harare.
Da qui le critiche di due delle principali formazioni di opposizioni di Gaborone, il Botswana National Front (BNF) e il Botswana Patriotic Front (BPF) dell’ex presidente Seretse Ian Khama. Il nodo della questione è che le ultime elezioni che si sono svolte in Zimbabwe, lo scorso agosto, non sono state riconosciute dalle opposizione e sono state definite non in linea con gli standard internazionali da buona parte della comunità internazionale, a partire da Stati Uniti e Unione Europea.
Anche la Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (SADC), organizzazione regionale di cui i due paesi coinvolti nel caso fanno parte, ha espresso in suo report perplessità su più aspetti del processo elettorale, dalla trasparenza nelle procedure di registrazione alla garanzia di libertà di espressione della società civile, fino all’indipendenza della magistratura.
Ma soprattutto, in merito all’imparzialità della commissione elettorale, la ZEC, che non verrebbe garantita come invece dovrebbe essere in base all’ordinamento del paese. In definitiva, l’organismo regionale ha decretato che le elezioni di agosto «non sono state all’altezza dei criteri stabiliti dalla stessa Costituzione dello Zimbabwe e dalle linee guida» della Sadc.
Il voto ha portato alla riconferma per un secondo mandato del presidente in carica Emmerson Mnangagwa e all’ennesima vittoria dell’ Unione Nazionale Africana Zimbabwe – Fronte Patriottico (ZANU-PF), al potere dal 1980.
«Disastrosa e atroce»
In un comunicato, il portavoce del BNF, Ketlhalefile Motshegwa, ha denunciato che la ZEC è un’istituzione «disastrosa e atroce» oltre che «gestita in stile mafioso e sostenuta da chi è al governo». Il dirigente si chiede poi come sia possibile che lo IEC abbia preso l’omologo dello Zimbabwe a «riferimento» quando lei stessa deve «riconquistare la credibilità perduta per condurre elezioni trasparenti, libere ed eque dopo aver truccato le urne nel 2019».
Secondo il BNF, «ci si sarebbe aspettata» una missione in paesi «democratici» e che possono contare su «sistemi più sviluppati e istituzioni elettorali efficaci». Così non è stato perché la commissione, conclude la nota, ha voluto solo acquisire più elementi per poter «falsare le elezioni».
Dello stesso avviso il Botswana Patriotic Front. La formazione di opposizione, per bocca del suo rappresentante Lawrence Ookeditse, ha sottolineato: «Se vuoi avere un punto di riferimento per organizzare delle elezioni, sicuramente non vai a cercarlo in Zimbabwe».
La Iec, dal canto suo, si è difesa in una nota in cui ha specificato che la missione nel paese vicino aveva come unico obiettivo quello di esaminare il sistema locale di accreditamento degli osservatori internazionali, che in Botswana è ancora effettuato a mano e quindi in maniera «inefficace». L’organismo elettorale ha negato la validità di qualsiasi altra accusa. La ricostruzione contraddice in parte quanto riferito dalla ZEC. Parlando con la stampa locale, il dirigente dell’ente Utloile Silaigwana ha affermato che i colleghi dello Zimbabwe si sono confrontati con loro anche per quanto riguarda la comunicazione pubblica e via social media.
Sulle polemiche è intervenuto anche il vice presidente del Botswana Slumber Tsogwane. Rivolgendosi al Parlamento, il politico ha sottolineato che «lo Zimbabwe è uno stato sovrano che si sta comportando bene come qualsiasi altro paese. Se non hai nulla di buono da dire sullo Zimbabwe, stai zitto», ha concluso il vice capo di stato.
A rivalutare il sistema elettorale di Harare anche Grant Masterson, direttore dell’Electoral Institute For Sustainable Democracy In Africa (EISA), organizzazione panafricana fondata in Sudafrica nel 1996 e con quattro uffici nel continente. «Da un punto di vista tecnico- ha commentato l’esperto a NewZimbabwe- la Commissione elettorale del paese si è comportata molto bene in aree chiave gestione elettorale, in particolare nelle campagne». L’ente quindi, ha concluso l’esperto, «ha davvero tantissime buone pratiche da insegnare alle altre commissioni elettorali».
Democrazia solida (?)
Il Botswana è governato fin dall’indipendenza, ottenuta dalla Gran Bretagna nel 1966, dallo stesso partito, il Botswana Democratic Party (BDP) di cui fa parte l’attuale capo di stato Mokgweetsi Masisi. Nonostante questo, la democrazia di Gaborone è ritenuta una delle più in salute di tutta l’Africa. Nel Freedom Index elaborato ogni anno dalla ong statunitense Freedom House, il Botswana è uno dei soli otto paesi ritenuti “liberi” del continente, con un punteggio di 72 su 100, 28 su 40 per quanto riguarda i diritti politici e 44 su 60 per quelli civili.
L’esito delle elezioni del 2019 è stato contestato dalle opposizioni, che hanno anche presentato un ricorso. Inizialmente respinto dall’Alta corte locale, è stato poi accolto dalla Corte d’appello, che l’ha però alla fine rigettato. Lo svolgimento del voto è stato valutato positivamente dagli osservatori di SADC e Unione Africana e accolto positivamente anche dagli USA.