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Brasile: Bolsonaro vuole “liquidare” i quilombolas anche con le armi
Le comunità ex-schiave, ufficialmente riconosciute dalla Costituzione del 1988, vivono la loro peggiore stagione sotto l’attuale governo. Con il presidente si è toccato il livello minimo di concessione di titoli di possesso di terra a tali comunità
08 Settembre 2021
Articolo di Luca Bussotti
Tempo di lettura 4 minuti
bolsonaro
Già in campagna elettorale, Bolsonaro si espresse contro quilombolas e indigeni (Illustrazione: Baptistão)

«Caro collega che in campagna hai la tua fazenda, non ti dovrai più preoccupare di svegliarti e vederla delimitata come terra indígena o quilombola (…). Puoi usare la tua arma per tutto il perimetro della tua proprietà».

È ciò che ha detto il presidente Jair Bolsonaro a uno dei molti grandi latifondisti brasiliani, nel luglio scorso a Brasilia, preoccupato di vedere ridotta la sua proprietà, a causa delle rivendicazioni delle comunità quilombolas.

Anni prima il presidente aveva detto che le comunità quilombolas sono così oziose ed esageratamente sovrappeso da non servire neanche per la procreazione, alludendo, magari con un po’ di saudade, ai tempi in cui le schiave di colore erano violentate regolarmente dai loro padroni bianchi e dai loro giovani figli, del tutto impunemente.

I conflitti di terra in America Latina, così come in Africa, sono all’ordine del giorno e incidono sulla vita di migliaia di persone. I conflitti coi grandi proprietari terrieri che ritengono di avere loro il diritto assoluto di usare quelle terre rappresentano, infatti, una questione spinosa, che in Brasile i governi precedenti, a partire dal primo a guida Lula, avevano cercato di affrontare in modo pragmatico, ma partendo da presupposti storici ed etici ben diversi rispetto a quanto sta facendo Bolsonaro.

Le origini

I quilombolas sono comunità di ex-schiavi di origine africana che, con la fine della schiavitù in Brasile, nel 1888, e nei decenni successivi, decisero o di fuggire dalle grandi piantagioni di canna di zucchero e fazendas in cui lavoravano, andando a occupare terreni, sia in ambito rurale sia urbano e semi-urbano; oppure decisero di occupare direttamente le terre che stavano coltivando in beneficio dei loro padroni. In entrambi i casi hanno formato comunità autonome (denominate quilombos) legate spiritualmente e culturalmente al loro passato africano.

Ma ci vorranno altri cento anni, dopo l’abolizione della schiavitù, perché i diritti di queste minoranze siano ufficialmente riconosciuti. La costituzione brasiliana del 1988 stabilisce che le comunità quilombola, come quelle indigene, hanno diritto a ottenere le loro “terre ancestrali”.

Oggi si contano circa 214mila famiglie e più di 6mila comunità quilombolas (ma i dati, a seconda delle letture politiche, variano molto verso il basso), sparse per tutto il territorio brasiliano, che lottano per il riconoscimento di quelle terre occupate ormai da decenni, e che costituiscono la loro principale fonte di sopravvivenza, materiale e spirituale.

Comunità, un ostacolo per i latifondisti

Con Bolsonaro vi è stata una chiara presa di posizione contro queste pretese e il rispetto dei diritti comunitari dei quilombolas, riducendo tali organizzazioni a un ostacolo in vista della sempre maggiore attribuzione di terra “produttiva” ai grandi latifondisti e alle imprese di sfruttamento minerario. Prova ne sia che con Bolsonaro si è toccato il livello minimo di concessione di titoli di possesso di terra a tali comunità, dal 2004 a oggi (soltanto 3 nel 2021, con una riduzione del 90% dal bilancio dello stato in favore delle entità pubbliche competenti per portare avanti tali processi, come l’Istituto nazionale di colonizzazione e riforma agraria e la Fondazione culturale palmares).

A oggi, solo l’8% delle terre quilombolas è stato riconosciuto, anche a causa della complessa burocrazia necessaria per ottenere il tanto sospirato titolo di proprietà. Il primo ricononscimento in questo senso è venuto soltanto 7 anni dopo l’approvazione della Costituzione, nel 1995, mentre una certa accelerazione si era verificata soprattutto con il secondo governo-Lula e con quello di Dilma Roussef.

Anche rispetto alla drammatica situazione del Covid-19 che continua a registrarsi in Brasile, la mancanza di impegno del governo federale rispetto a queste specifiche comunità ha indotto alcune organizzazioni della società civile a dare vita alla piattaforma Osservatorio del Covid-19 presso i quilombolas, coinvolgendo le leadership delle varie comunità.

Soltanto a maggio di quest’anno il governo federale ha lanciato una piattaforma per la lotta alla pandemia all’interno dei quilombolas, davanti a una pressione dell’opinione pubblica (e a un complicato processo di impeachment proprio sulla pandemia) che si stava facendo eccessiva anche per un presidente come Bolsonaro, che ha mostrato sempre, coerentemente, una fiera avversione per i quilombolas, gli indigeni e tutte le altre minoranze, soprattutto quando queste interferiscono sui milionari affari dei suoi ricchi e potenti sostenitori.

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