Ha scosso la comunità internazionale l’attacco jihadista compiuto il 24 agosto scorso in Burkina Faso, nella periferia della città centrale di Barsalogho, il terzo dell’inizio del mese e uno dei più mortali in quasi un decennio di violenza islamista nel paese saheliano.
Nell’attacco, rivendicato dal gruppo qaidista Jama’a Nusrat ul-Islam wa al-Muslimin (Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani – GSIM), sono stati uccise centinaia di persone, quasi tutti civili impegnati a scavare trincee difensive.
Oltre un centinaio di terroristi sono arrivati all’improvviso su motociclette aprendo il fuoco con armi automatiche, senza che vi fosse una risposta immediata delle forze armate. Il GSIM sostiene di aver ucciso 300 persone, descrivendo tutte le vittime come soldati e membri della milizia alleata all’esercito.
Nelle testimonianze raccolte da Reuters i parenti delle persone massacrate parlano invece di almeno 400 morti, quasi tutti civili che scavavano le trincee su ordine dei militari. Tra questi anche 22 cristiani, secondo fonti locali in contatto con l’ente cattolico internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN) che nel suo ultimo rapporto, diffuso a giugno, denunciava un aumento delle persecuzioni nei confronti dei cristiani nel Sahel, a causa della crescita degli attacchi jihadisti che dal 2015 hanno causato oltre 10mila morti e più di 2 milioni di sfollati.
Sta di fatto che a nove giorni dal massacro le autorità non sono state ancora in grado di fornire un conteggio esatto dei morti. E questo la dice lunga sui fallimenti nel contrasto al terrorismo e nel controllo del territorio, circa la metà del quale in mano ai gruppi jihadisti.
La giunta militare burkinabè, salita al potere con un golpe nel gennaio 2022 denunciando proprio l’incapacità del governo nella lotta al terrorismo, si è limitata a indire una giornata di lutto nazionale, mentre il vescovo della diocesi di Kaya – a cui appartiene Barsalogho -, Theophile Nare, ha chiamato a raccolta i cristiani per tre giorni di preghiera.
«Dobbiamo parlare. Parlare con Dio in preghiera, parlare tra di noi e agire affinché non accada di nuovo. Agire. Ma come agiamo? Ad esempio, possiamo smettere di tradirci a vicenda. Questa è un’azione. Dobbiamo rinunciare ai nostri interessi egoistici quando è in gioco l’interesse generale. Dobbiamo fermare certe azioni che sono caratterizzate dal male e dai malfattori», ha dichiarato in un’intervista al quotidiano tedesco Deutsche Welle (DW).
«Un’altra opzione è cambiare i cuori e le menti. È tolleranza, è rispetto reciproco. Forse dovremmo negoziare. Sederci e parlare. È così che di solito finiscono i conflitti», ha aggiunto.