Burkina Faso: salta il governo e il presidente è sempre più isolato - Nigrizia
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Un paese al collasso
Burkina Faso: salta il governo e il presidente è sempre più isolato
Gli attentati jihadisti e l’indignazione popolare hanno portato alle dimissioni dell’esecutivo su spinta del presidente Kaboré, che si trova sempre più all’angolo. La rimozione dei vertici militari tra le ragioni della débâcle contro i terroristi che occupano ormai un terzo del territorio
09 Dicembre 2021
Articolo di Redazione
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Erano annunciate. E sono diventate realtà ieri, 8 dicembre. Con le dimissioni del primo ministro Christophe Marie Joseph Dabiré è caduto il governo burkinabè. Scelta voluta dal presidente Roch Marc Christian Kaboré per mettere a tacere una piazza in ebollizione, insofferente verso un potere centrale incapace di mettere un freno alla violenza jihadista nel paese, che dal 2015 ha provocato circa 2mila morti e 1,4 milioni di sfollati.

Ex commissario incaricato del commercio, concorrenza e cooperazione dell’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (Uemoa), Dabirè era in carica dal gennaio 2019, quando aveva sostituito Paul Kaba Thieba. Era poi stato riconfermato nel gennaio 2021 con la rielezione di Kaboré al vertice del paese.

Fine già scritta

Ma la sua fine era già scritta il 14 novembre dopo l’attentato terroristico al distaccamento della gendarmeria a Inata nel nord del paese, che ha provocato la morte di almeno 57 persone, tra cui 53 gendarmi. Attentato attribuito ai combattenti affiliati al Support Group for Islam and Muslims, legato ad al-Qaida nel Maghreb islamico.  E l’indignazione della popolazione, e dei quadri militari, ha raggiunto l’apice quando si è saputo delle gravi carenze nella gestione della sicurezza della struttura di Inata: c’era una terribile assenza di attrezzature, di manodopera e persino di viveri.

Manifestazioni di piazza

Una situazione che aveva scatenato grandi manifestazioni nel paese, tra cui anche quella del 27 novembre a Ouagadougou. Manifestazione dispersa con i gas lacrimogeni e che ha provocato una dozzina di feriti. I contestatori avevano vandalizzato parte dell’ufficio dello stato civile, dopo aver tentato di incendiare l’edificio del municipio della capitale.

Gli attacchi contro civili e soldati sono sempre più frequenti nel paese e la stragrande maggioranza degli atti si concentra nel nord e nell’est del Burkina Faso.

In soli 5 anni il paese è passato da una situazione di sostanziale assenza di attentati che scuotono il Sahel a uno stato sull’orlo del collasso. Come si è arrivati a questo disastro in così poco tempo? Tra le ragioni c’è la disintegrazione degli apparati di sicurezza nel paese.

Mentre la minaccia jihadista si è rafforzata dal 2015, il sistema di sicurezza si è rapidamente dimostrato fragile sia a livello dell’esercito nazionale, sia delle forze di sicurezza interna e dei servizi di intelligence.

Repulisti militare

Appena insediatosi alla guida dello stato dopo le elezioni del 2015, il presidente Kaboré aveva intrapreso una politica volta a ripulire qualsiasi eredità del suo predecessore Blaise Compaoré, rovesciato nell’ottobre 2014, dopo 27 anni al potere. Oltre allo smantellamento totale del Presidential Security Regiment (Psr), unità d’élite dell’esercito responsabile della sicurezza del capo di stato e della lotta al terrorismo, quasi tutti i generali e gli alti ufficiali che avevano prestato servizio sotto Compaoré sono stati messi da parte. La paura era che si trasformassero in agenti di un futuribile colpo di stato.

Così dall’arrivo di Kaboré, l’esercito ha conosciuto 5 diversi capi di stato maggiore. Un avvicendamento nella gerarchia militare che ha impedito al paese di adottare una strategia antiterrorismo chiara ed efficace.

Jihadismo diffuso

La metastasi jihadista, piano piano, si è così si è diffusa in tutto il paese: gran parte del centronord, quasi tutto il Sahel, più della metà dell’est, confine con il Mali, e anche parte del confine sudovest.

Più di un terzo del territorio nazionale è sotto il controllo di gruppi terroristici. La loro agenda è utilizzare le postazioni sul territorio burkinabè per esportare la minaccia terroristica dal Sahel ai paesi del Golfo di Guinea, a cominciare da Benin, Costa d’Avorio, Ghana e Togo, tutti i confini vicini dal Burkina Faso.

Attentato a Solhan

E l’attentato a Inata non è neppure stato il più grave degli ultimi mesi. Il 4-5 giugno a Solhan, nel nordovest del Burkina Faso, un atto terroristico è costato la vita a oltre 160 persone. In quella occasione Kaboré, seppur a malincuore, ha dovuto sacrificare il ministro della difesa Cherif Sy e quello della pubblica sicurezza Ousséni Compaoré. Pensava che bastasse. Non aveva previsto un altro grave attentato entro la fine dell’anno.

Ora l’onda d’urto che sale dalla popolazione minaccia la stessa sopravvivenza della presidenza Kaboré. Perché oltre alla popolazione, sembra non controllare più anche le forze armate. Per l’opposizione e gran parte della società civile gli attacchi evidenziano la sua incapacità di essere all’altezza delle sfide alla sicurezza che il paese deve affrontare.

Fatto completamente inedito, lo stesso Balai Citoyen, la più dinamica organizzazione della società civile, ha sporto denuncia contro il governo dopo la tragedia di Solhan.

Un uomo solo

Nonostante la sua comoda rielezione alla fine del 2020 (più del 57% al primo turno), il presidente Kaboré sembra totalmente sopraffatto dalla sfida alla sicurezza. Molti trovano le ragioni di questo indebolimento nella morte nell’agosto 2017 di Salif Diallo, sua eminenza grigia, e nell’ allontanamento di Simon Compaoré, ex sindaco di Ouagadougou, terzo uomo del triumvirato con Kaboré che aveva rovesciato il regime di Blaise Compaoré.

Resta un dato: messo alla prova del potere, Kaboré appare un uomo solo. (Giba)

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