Il capo di stato del Burkina, Ibrahim Traoré, è ricomparso stamattina per presidiare il Consiglio dei ministri e visitare la sede della RTB, l’emittente radio-televisiva nazionale. Si pone così fine alla girandola di speculazioni e indiscrezioni sul futuro dell’attuale giunta militare. Negli ultimi 9 giorni, le apparizioni in pubblico di Traoré si erano limitate a due: in occasione della preghiera per la festa di Tabaski (una delle più importanti celebrazioni religiose dell’anno) e per donare del sangue. In entrambi casi, nessuna dichiarazione rilasciata. Una comunicazione letta come troppo minimalista, visti gli eventi degli ultimi giorni. E che ha dato adito a sospetti di un ennesimo tentativo di destabilizzazione del paese.
Del resto, c’era materiale per far viaggiare le speculazioni. Mercoledì 12 giugno un tiro di cannone era partito dal palazzo presidenziale di Ouagadougou, la capitale burkinabé, e aveva raggiunto il cortile della Rtb, l’emittente radiotelevisiva nazionale, distruggendo un po’ di macchine parcheggiate. «Un errore di mira», si era affrettata a spiegare RTB.
Solo che l’errore era avvenuto il giorno dopo un altro evento non da poco. L’11 giugno, circa 100 soldati burkinabé erano stati uccisi Mansila, una città nel nord-est del paese, in un attacco rivendicato dal Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (o Jnim, affiliato ad al-Qaida). È l’ennesimo tributo di sangue in una lotta frontale ingaggiata dalla giunta di Traoré per riprendere il controllo di circa il 50% del paese che varie sigle jihadiste (legate principalmente sia alla già citata al-Qaida, che allo Stato Islamico) sono riuscite ad assicurarsi negli ultimi dieci anni.
L’ombra del contro-golpe
Ma se per i media internazionali, attacchi del genere non rappresentano più una ‘’novità’’ – e fanno meno notizia di un tempo – per i militari il discorso è diverso. Carneficine simili – nelle località di Inata nel 2021 e a Gaskindé nel 2022, con la morte rispettivamente di circa 50 e 40 persone tra soldati e civili – avevano innescato il rovesciamento dei due precedenti regimi, quelli di Roch Marc Kaboré e Paul Damiba. Entrambi furono visti come incapaci di combattere i gruppi terroristici e responsabili per l’aver mandato al massacro le truppe nazionali.
Per le autorità locali non era un argomento da prendere alla leggera. Tant’è che il Consiglio superiore della comunicazione del Burkina aveva sospeso la licenza all’emittente francese TV5 Monde. Le aveva anche commissionato una multa di 50 milioni di franchi Cfa (circa 76mila euro). La motivazione: la diffusione, durante la trasmissione del 17 giugno, di «argomentazioni faziose, al limite della disinformazione».
A Ouagadougou, non era piaciuta l’intervista rilasciata da un noto critico della giunta al potere, Newton Ahmed Barry, giornalista e in passato capo della commissione elettorale burkinabé, che aveva sollevato dubbi sulla gestione della questione securitaria nel paese. TV5 Monde si unisce al gruppo di attori mediatici stranieri sanzionati a titolo provvisorio o sine die, degli ultimi due anni. Ne fanno parte anche operatori come Jeune Afrique, RFI, e Voice of America.
Tutto bene. O quasi.
In tutto questo, la posizione ufficiale è sempre stata che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Una nota pubblicata il 18 giugno dall’esercito burkinabé derubricava ogni voce su movimenti di contestazione in seno alle truppe come «infondate e false». Secondo le indiscrezioni pubblicate ieri da Le Monde Afrique, la situazione sarebbe stata diversa. Per il quotidiano francese, Traoré si trovava nascosto in una località sconosciuta, con delle discussioni in corso tra soldati per decidere dell’avvenire della giunta.
Non è la prima volta che voci di tentativi di destabilizzazione del regime prendono piede per poi essere smentiti dal governo. Difficile stabilire quanto ci sia stato di vero in queste indiscrezioni. Di certo, la tenuta della giunta militare è sotto tensione. Lo stesso governo burkinabé ha dichiarato nel settembre scorso di aver sventato un tentativo di golpe per rovesciare il governo di Traoré.