Burundi. La denuncia di Amnesty: il governo Ndayishimiye reprime il dissenso senza sosta - Nigrizia
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In un report si documentano abusi contro oppositori, giornalisti e attivisti
Burundi. La denuncia di Amnesty: il governo Ndayishimiye reprime il dissenso senza sosta
Le speranze nate dopo la fine del governo Nkurunziza, nel 2020, sembrano essere ormai esaurite
21 Agosto 2024
Articolo di Brando Ricci
Tempo di lettura 5 minuti
Il presidente Evariste Ndayishimiye. Foto di Lukasz Kobus / European Commission

In Burundi il governo del presidente Evariste Ndayishimiye porta avanti «senza sosta» un’«ondata di repressione» contro oppositori politici, attivisti in difesa dei diritti umani e giornalisti. A denunciarlo in un nuovo report è l’ong internazionale di base in Gran Bretagna Amnesty International. L’organizzazione accusa l’esecutivo di Bujumbura di essere responsabile di «intimidazioni, molestie, arresti, detenzioni arbitrarie e procedimenti giudiziari ingiusti» ai danni di presunti critici e dissidenti. Abusi ancora più preoccupanti se si pensa che il paese si sta avvicinando alle elezioni legislative, previste nel 2025. Il documento di Amnesty segue di alcuni mesi delle valutazioni simili di rappresentanti Nazioni Unite e sembra mettere la parola fine alle speranze che aveva suscitato l’amministrazione di Ndayishimiye.

L’attuale capo di stato èsucceduto nel 2020 al contestato ex presidente Pierre Nkurunziza, deceduto improvvisamente pochi giorni dopo le elezioni che avevano sancito la vittoria di Ndayishimiye, esponente dello stesso partito dell’ex presidente, il Consiglio Nazionale per la Difesa della Democrazia – Forze per la Difesa della Democrazia (CNDD-FDD). Durante i suoi anni al potere Nkurunziza è stato accusato di governare il paese con una repressione feroce da una larga fetta della comunità internazionale, che è arrivata a isolare il paese a partire dal 2015, quando il governo spense con violenza un’ondata di proteste scatenate dalla rielezione del capo dello stato per un terzo mandato, ritenuta una violazione sia della Costituzione che degli accordi di pace di Arusha. L’intesa, siglata nel 2000, ha messo fine a oltre dieci anni di guerra civile. Durante le manifestazioni, centinaia di persone sono state uccise dalle forze di sicurezza.

I primi segnali di apertura
Una volta salito al potere Ndayishimiye, 56 anni, ex militare, ha rilasciato nel giro di alcuni mesi due attivisti e quattro giornalisti che erano stati incarcerati per il loro lavoro. Fra novembre 2021 e febbraio 2022 Stati Uniti e Unione Europea hanno anche ristabilito gli aiuti finanziari al paese, che erano stati sospesi dopo le violenze del 2015. Nella nota con cui la Commissione europea ha reso nota la decisione, si citano il «pacifico processo politico avviato con le elezioni generali del maggio 2020 e che ha aperto una nuova finestra di speranza per la popolazione del Burundi» nonché «i progressi compiuti dal governo del Burundi in materia di diritti umani, buona governance e stato di diritto».

Affermazioni che non trovano più riscontro nello scenario descritto da Amnesty. «L’attuale ondata di repressione – ha denunciato Tigere Chagutah, direttore regionale della ong per l’Africa orientale e meridionale – ha infranto le speranze di un cambiamento significativo nell’approccio del governo nei confronti della società civile e di aprire uno spazio di discussione sulle urgenti questioni relative ai diritti umani nel paese».

Il documento di Amnesty cita diversi casi di arresti che, sempre a detta dell’organizzazione, come ha spiegato Chagutah, vengono effettuati sulla base di accuse infondate, in particolare quelle legate alla ‘ribellione’ e alla ‘minaccia alla sicurezza interna dello Stato’ usate contro attivisti per la difesa dei diritti umani e giornalisti. Fra le detenzioni portate come a esempio c’è quella dell’avvocato Tony Germain Nkina e dell’ex parlamentare Fabien Banciryanino avvenute entrambe nel 2020. Tutti e due le figure citate sono state successivamente rilasciate. Così come è stata liberata solo pochi giorni fa Floriane Irangabiye, che ha ricevuto la grazia presidenziale dopo due anni di carcere, un quinto della condanna a 10 anni che gli era stata imposta per aver “minato l’integrità del territorio dello stato” dopo, riporta Amnesty, alcuni interventi a una trasmissione radiofonica.

Un’altra episodio menzionato dalla ong è l’arresto di 23 persone che stavano partecipando a un incontro organizzato da una realtà che si occupa di persone che vivono con Hiv/Aids a Gitega, capitale economica dl paese. In quell’occasione, nel febbraio 2023, gli attivisti erano stati accusati di “omosessualità” e “incitamento alla dissolutezza”. Amnesty cita anche una incursione della polizia durante una conferenza stampa congiunta di due ong locali, Parcem e Olucome, impegnate rispettivamente nella promozione di sviluppo sostenibile e buona governance e nel contrasto alla corruzione.

Il governo di Bujumbura, sollecitato dalla stampa franconfona, non è entrato nel merito delle accuse è ha chiesto invece di avere una lista delle persone vittime degli abusi citati.

La denuncia dell’Onu
Le violazioni descritte da Amnesty fanno eco a quanto riferito a luglio dal relatore dell’Onu per la situazione in Burundi, Fortuné Gaétan Zongo. Parlando a una sessione del Consiglio per i diritti umani, il diplomatico, burkinabè, ha denunciato che «molti giornalisti e rappresentanti della società civile sono soggetti ad arresti, detenzioni arbitrarie, molestie e intimidazioni». Secondo il dirigente inoltre, «la situazione in Burundi è caratterizzata da un contesto di sicurezza instabile, da una diffusa impunità mantenuta dal sistema giudiziario e dalla tolleranza verso le violazioni dei diritti umani, in particolare quelle commesse dalla milizia del partito al potere». 

Le dichiarazioni di Zongo sono state smentite in modo netto dalle autorità del Burundi per bocca della sua rappresentante permanente a Ginevra, Elisa Nkerabirori. La dirigente ha accusato il diplomatico burkinabè di voler screditare le istituzioni del Burundi per ragioni geopolitiche nonchè di complicità col Rwanda, le cui relazioni con Bujumbura sono estremamente tese

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