Il principale partito di opposizione del Burundi, il Consiglio nazionale per la libertà (Cnl), ha visto le sue attività sospese dal ministero dell’interno a causa di “irregolarità” durante i suoi ultimi due congressi. “Irregolarità” che i critici hanno definito un tentativo di soffocare il dissenso in vista delle elezioni legislative del 2025.
Il ministero ha dichiarato di aver risposto alle denunce di otto leader del partito. Questi erano stati estromessi dopo essersi opposti al presidente del partito, Agathon Rwasa, in due recenti congressi: uno ordinario il 12 marzo e l’altro straordinario il 30 aprile. Congressi organizzati per dotare il partito di nuovi statuti e regolamenti interni conformi alla nuova ripartizione amministrativa del paese, che entrerà in vigore nel 2025.
«Tutte le attività organizzate da gruppi irregolari sono sospese a livello nazionale», ha dichiarato il ministero. «Sono autorizzati solo gli incontri volti ad allentare le tensioni all’interno del partito», ha aggiunto.
Secondo gli analisti, la mossa, annunciata in una lettera diffusa martedì dal ministero dell’interno, rischia di riaccendere le turbolenze politiche che hanno avvolto il paese negli ultimi anni.
Grave violazione della Costituzione
La dirigenza del partito sospeso, infatti, ha denunciato all’Afp «una grave violazione della Costituzione» e «un tentativo di destabilizzare e indebolire il Cnl» in questo paese della regione dei Grandi Laghi regolarmente additato per violazioni dei diritti umani.
Simon Bizimungu, segretario generale del Cnl, sostiene che non vi sia tensione o contrasto all’interno del Cnl. «È solo un gruppetto di otto manifestanti che non ha peso, se non il sostegno delle autorità pubbliche».
Le ultime elezioni presidenziali si sono svolte nel 2020 e hanno visto la vittoria candidato di Evariste Ndayishimiye, succeduto a Pierre Nkurunziza, morto dopo aver diretto con pugno di ferro il paese per 15 anni. Dalla sua ascesa al potere, il presidente Ndayishimiye ha oscillato tra segnali di apertura del regime – ancora sotto il controllo dei militari – e la ferma gestione del potere caratterizzata dalle violazioni dei diritti umani denunciate da ong e Onu.
A marzo, il vice Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Kate Gilmore, ha deplorato la «crescente repressione» delle voci critiche in Burundi.