Mentre l’attenzione dei tifosi di calcio di tutto il mondo è rivolta alla Coppa d’Africa ospitata in Camerun, lo spirito del paese non è altrettanto gioioso. Dal 2016 in questa parte del continente è in atto un sanguinoso conflitto civile che nel corso degli anni è andato solo peggiorando.
Tutto è cominciato più di cinque anni fa, ormai, quando avvocati e insegnanti delle regioni Sud-Ovest e Nord-Ovest del paese hanno cominciato a protestare e organizzare manifestazioni con un chiaro intento politico: la secessione. È la parte anglofona del paese a ribellarsi contro quello che viene avvertito come autoritarismo della maggioranza francofona che è poi anche la maggioranza di governo.
Ma la richiesta di una federazione a due stati per preservare – tanto per cominciare – i sistemi legali ed educativi anglofoni non è mai stata accettata dal presidente Paul Biya. E così il conflitto ha continuato ad accendersi provocando finora, secondo Amnesty International, almeno 3mila vittime (secondo altre fonti i morti sarebbero circa 6mila) e causando 1 milione di sfollati.
Senza parlare delle numerose e ripetute violazioni dei diritti umani, da una parte (l’esercito regolare) e dall’altra. Violazioni di cui le donne e i bambini, a cui è impedito andare a scuola visti i numerosi attacchi alle strutture scolastiche, stanno subendo gli effetti più evidenti e che si ripercuoteranno nel tempo. Insomma, una crisi politica e securitaria che nel frattempo si è trasformata in grave crisi umanitaria.
Nel tempo si è arrivato alla proclamazione unilaterale della Repubblica di Ambazonia, da parte degli anglofoni, sostenuti da una buona fetta della diaspora. Una Repubblica con una propria bandiera, inno e con propri combattenti. Quelle milizie separatiste che non vogliono rendere vita facile all’evento sportivo in corso.
Un evento su cui il governo ha investito non meno di 760 milioni di euro negli impianti sportivi e in altre strutture. A parte le severe restrizioni imposte alla circolazione, grande è stato anche l’investimento sui militari e le forze di sicurezza schierate in tutto il paese, compresi elicotteri che sorvolano le aree, soprattutto le località dove si trovano i sei stadi che stanno ospitando le partite di calcio.
Otto di queste a Limbe e Buea, città nella regione sudoccidentale di lingua inglese. Ed è proprio Buea, 20 chilometri da Limbe, dove si è disputata la partita Mali-Tunisia, che pochi giorni si sono registrati scontri tra le milizie e le forze di sicurezza governative, che hanno lasciato a terra 2 morti e 5 feriti. Gli scontri sono avvenuti in un’area “pericolosamente vicina” al luogo dove sono ospitate le squadre del Gruppo F: Mali, Tunisia, Mauritania e Gambia.
Ovviamente la Coppa d’Africa è un evento davvero ghiotto per i separatisti ma nello stesso tempo la violenza esposta a livello internazionale potrebbe essere un’arma a doppio taglio e provocare risentimento nella comunità internazionale anziché attenzione alla loro causa. Anche lo scorso anno ci sono state occasioni per i separatisti di creare allarme in occasione di eventi sportivi.
Nel gennaio 2021, durante un altro torneo di calcio, l’African Nations Championship, le milizie avevano fatto esplodere un ordigno a Limbe, ferendo tre poliziotti. Il 21 dicembre, mentre il presidente Biya incontrava nella capitale Yaoundé Patrice Motsepe, presidente della Confederazione africana di calcio (Caf), altri combattenti attaccavano un posto di blocco della polizia a Kumba, nel sud-ovest, uccidendo un agente.
E sempre a dicembre, scontri tra milizie separatiste e forze governative hanno colpito Bamenda, la terza città più grande del Camerun. Ed ecco perché la mascotte in costume della Coppa d’Africa, il leone Mola, lo scorso dicembre, girava la città indossando un giubbotto antiproiettile circondato da una scorta militare pesantemente armata.
Questi giochi tanto attesi sono stati anche tanto criticati. Secondo alcuni, il governo si è impegnato in una spesa – e prestiti – troppo alta. In un paese dove, tra l’altro, il debito pubblico supera il 45% del prodotto interno lordo. In ogni caso, quando si saranno spenti i riflettori sull’evento, il Camerun tornerà a fare i conti con una situazione drammatica. Nove delle dieci regioni del paese sono nella lista delle più gravi crisi umanitarie del continente.
L’insurrezione jihadista e il conflitto intercomunitario è tra l’altro alimentato dai cambiamenti climatici che hanno destabilizzato il nord e di cui risentono pesantemente pescatori e pastori. A questo si aggiunge la presenza dei ribelli della Repubblica Centrafricana che hanno attraversato i confini orientali.
Tesa, come dicevamo, anche la situazione politica. All’inizio di dicembre dello scorso anno, Maurice Kamto, leader dell’opposizione ed ex candidato alla presidenza, aveva minacciato di organizzare proteste per le restrizioni sui diritti civili. Ne è seguita la condanna, da parte di un tribunale militare, di cinque alti funzionari del partito di Kamto (Movimento di rinascita del Camerun) a sette anni di reclusione per aver organizzato manifestazioni contro il presidente Biya, nel settembre 2020.
L’ultima volta della Coppa d’Africa in Camerun fu nel 1972. Di cambiamenti nel paese da allora ce ne sono stati tanti (Biya sarebbe diventato presidente dieci anni dopo e ancora oggi è capo dello Stato) ma sicuramente i fatti recenti sono la sfida più importante che questa nazione sta affrontando. E la situazione di stallo, in cui nessuna delle due parti mostra cedimento, non lascia presagire una soluzione a breve termine.