Non è una novità che tutto l’Atlantico Sud rappresenti, oggi, uno dei corridoi preferenziali per il grande traffico di droga internazionale proveniente dal Sud America e destinato ai ricchi mercati europei. Tuttavia, gli hub della costa africana dell’Atlantico Sud sono in parte cambiati, e Capo Verde costituisce una delle mete preferite.
I tre principali gruppi criminali dediti al trasporto di cocaina dal Brasile all’Europa sono tre: il Primeiro Comando da Cidade (PCC), il più potente e che ha come suo hub di smercio il porto di San Paolo, il Comando Vermelho e la Família do Norte, secondo l’ultimo report dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC). La novità – corroborata da arresti iniziati nello scorso ottobre – è il legame fra PCC e mafia serba.
Operazione Dontraz
Lo scorso ottobre sono stati effettuati i primi arresti dell’operazione Dontraz (acronimo del nome delle imbarcazioni Dom Isaac e Alcatraz), finalizzata a stroncare il fiorente traffico di cocaina Brasile-Capo Verde, con la collaborazione della polizia federale e della marina brasiliana, e delle autorità di Capo Verde, Stati Uniti e Inghilterra . Fra i dieci nuovi arresti, tutti eseguiti in territorio brasiliano, nello Stato di San Paolo, vi è anche un cittadino serbo, Aleksandar Nesic, ritenuto uno dei leaders del fiorente traffico che vede le coste di Capo Verde come hub principale di transito.
Nesic è figlio del narcotrafficante Goran Nesic, estradato dal Brasile alla Serbia nel 2018, dove attualmente è in carcere per traffico internazionale di droga. Altri 16 mandati di cattura sono stati eseguiti in altri stati brasiliani. È stata sequestrata anche un’imbarcazione che era partita da Fortaleza (capitale dello stato di Ceará), con più di 1200 chilogrammi di cocaina, destinazione Capo Verde.
Il ruolo della mafia serba
Tutto ha avuto inizio proprio a Capo Verde, quando, lo scorso anno, ad aprile, un’imbarcazione di pesca, battente bandiera brasiliana (l’Alcatraz I), fu sequestrata dinanzi alle coste del piccolo arcipelago africano, con 5,5 tonnellate di cocaina. Nell’occasione furono catturati cinque cittadini brasiliani e due montenegrini.
L’operazione fu eseguita dalla marina degli Stati Uniti, in collaborazione con le autorità capoverdiane. Scenario che si è ripetuto pochi mesi dopo, a settembre di quest’anno, ancora in prossimità della costa capoverdiana. Questa volta, sono state 2,8 le tonnellate sequestrate, da parte di Europol, destinate ai cartelli mafiosi dei Balcani e distribuite fra decine di piccole valigie da viaggio.
Le fragilità di Capo Verde, la nuova rotta della cocaina sudamericana
Non ci sono esclusivamente le spettacolari operazioni di sequestro di cocaina off-shore pubblicizzati dalla stampa internazionale. Quasi quotidianamente, a Capo Verde, quantitativi minori vengono intercettati, e cittadini capoverdiani, o della vicina Guinea-Bissau, arrestati. È accaduto a una signora capoverdiana all’aeroporto di San Vicente a luglio scorso con 12 chili di cocaina; ed anche a un cittadino della Guinea-Bissau a maggio, presso l’aeroporto della capitale Praia, che nascondeva 800 grammi di cocaina nei propri sandali.
La questione è se e come le autorità di Capo Verde riusciranno a stroncare questo fiorente e diversificato traffico di cocaina che vede il loro paese in prima linea sia rispetto alle rotte internazionali, sia a quelle regionali, con un elemento nuovo, e almeno due grandi preoccupazioni: l’elemento nuovo è il consumo locale, che interessa fra il 4 e l’8% della popolazione dell’arcipelago.
La prima preoccupazione è che – come riportato dalla stampa locale pochi giorni fa – i criminali brasiliani e montenegrini catturati nell’operazione Alcatraz I, legati rispettivamente al PCC e alla mafia serba, stanno scontando la loro pena nel carcere di S. Martinho, a Praia, capitale di Capo Verde, insieme a criminali olandesi e della mafia russa, anch’essi legati al traffico internazionale di cocaina.
L’altra preoccupazione riguarda la scarsa capacità di Capo Verde nel controllo del traffico via mare della cocaina proveniente dal Brasile. Le difficoltà sono varie: dalle poche imbarcazioni disponibili da parte della Guardia costiera capoverdiana alle risorse umane anch’esse limitate e con formazione insufficiente, sino agli insostenibili costi di pattugliamento della frastagliata costa dell’arcipelago.
Insomma, senza il costante intervento di partner stranieri, Capo Verde è destinato a sviluppare ulteriormente il suo ruolo di “autostrada 10” – secondo una denominazione ormai universalmente accettata – della rotta internazionale del traffico di cocaina.