Ce l’ha fatta al primo turno. Le previsioni lo davano per favorito, e il grande dilemma era se l’ex-primo ministro dell’ex-partito unico, il Paicv (Partito africano per l’indipendenza di Capo Verde), José Maria Pereira Neves, sarebbe riuscito a vincere subito, o se sarebbe stato costretto a un secondo, incerto turno.
I risultati del voto presidenziale del 17 ottobre, arrivati in nottata, confermano la vittoria immediata, in una disputa con altri sei candidati che, in realtà, si è trasformata in una peraltro prevedibile corsa a due: fra il vincitore, José Neves, e il rappresentante delle forze che sostengono l’attuale governo, Carlos Viega, del partito di maggioranza assoluta, il Movimento per la democrazia (Mpd).
I loro voti, sommati, fanno circa il 94% dei voti validi, con José Neves al 51,5% e Carlos Viega – anch’egli primo ministro dal 1991 al 2000 – al 42,6%. Agli altri sono rimaste le briciole. Il risultato, così come è accaduto lo scorso settembre per l’altro arcipelago di lingua portoghese, São Tomé e Príncipe, sarà quello di una coabitazione fra una maggioranza che si ispira a valori liberali, e un presidente della repubblica (che, tuttavia, a Capo Verde ha poteri molto limitati) di matrice socialista. Una situazione che la democrazia capoverdiana saprà sicuramente affrontare senza troppi intralci, vista la sua collaudata stabilità istituzionale.
All’interno del quadro comunque positivo per una ennesima elezione che si è svolta senza alcuna contestazione, con la presenza di 104 osservatori elettorali e con un sistema di conteggio dei voti assai efficiente (un paio d’ore dopo la chiusura delle urne il nome del nuovo presidente era già conosciuto), non sono mancate le polemiche, durante la campagna elettorale.
In primo luogo, il vincitore è stato ammonito dalla Commissione nazionale delle elezioni – su segnalazione di Carlos Viegas – per una indiretta spinta affinché gli elettori accettassero qualcosa di simile al voto di scambio, proibito dalla legge elettorale locale. D’altra parte, José Neves ha più volte accusato il governo di avere usato mezzi di trasporto e altre risorse pubbliche (finanziarie e umane) per sostenere la campagna elettorale di Carlos Viegas: una pratica, anche questa, non permessa dalla legge elettorale.
Forse anche a causa di queste scaramucce che poco hanno a che fare con la visione politica per il futuro del paese, o forse per il momento difficile dell’economia capoverdiana, con una recessione di quasi il 15% nel 2020, e la perdita di circa 100mila posti di lavoro (quasi tutti legati al turismo) su una popolazione che non arriva al mezzo milione di abitanti, l’affluenza si è mantenuta al di sotto del 50%.
Ad aprile di quest’anno, con una situazione pandemica peggiore, le elezioni legislative avevano fatto registrare un’affluenza superiore di circa 10 punti percentuali rispetto al voto del 17 ottobre per le presidenziali.
Interessante è anche capire meglio il voto che ha dato a José Neves la vittoria, in un paese che ha più votanti nella diaspora – particolarmente negli Stati Uniti – che al proprio interno. Proprio nella circoscrizione americana (Nord e Sud) Carlos Viega ha ottenuto la vittoria con un buon margine, ottenendo quasi il 52% dei voti validi, contro il 40% del suo principale avversario.
Una tendenza in linea con la tradizione anti-Paicv delle Americhe, tuttavia non confermata dagli altri luoghi della diaspora dove i residenti all’estero potevano votare: in Europa, per esempio, il voto a favore di José Neves ha raggiunto quasi il 54%, in Africa ha addirittura superato il 62%, mentre all’interno dell’arcipelago è stato in linea col risultato finale, col vincitore intorno al 51,2% e il principale sconfitto a quasi il 43%.
Oltre a dimostrare una sostanziale sfiducia nella politica capoverdiana nella fase più difficile dell’arcipelago dall’ottenimento della sua indipendenza dal Portogallo, nel 1975, questo voto rappresenta un campanello di allarme per l’attuale esecutivo che ha avuto enormi difficoltà nel far fronte alla pandemia di coronavirus e ai suoi effetti devastanti sul turismo.
Un esecutivo che, però, dovrà confrontarsi con nuove elezioni legislative soltanto nel 2026, quando gli effetti della pandemia saranno stati probabilmente assorbiti e nuovi scenari politici si saranno aperti per questo piccolo arcipelago dell’Africa atlantica. A questo appuntamento il Paicv si potrà preparare con qualche speranza in più rispetto alle ultime due tornate legislative che lo hanno visto punito dagli elettori, i quali, tuttavia, col voto delle presidenziali sembrano avere riaperto i giochi politici.