Chi c’è dietro Jusper Machogu, agricoltore e negazionista climatico - Nigrizia
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Dal suo profilo Twitter, il contadino e ingegnere agrario, originario del Kenya, invoca l’uso dei combustibili fossili
Chi c’è dietro Jusper Machogu, agricoltore e negazionista climatico
Tra i suoi follower anche sostenitori dei complotti su ambiente, vaccini e guerra in Ucraina
27 Giugno 2024
Articolo di Rocco Bellantone
Tempo di lettura 6 minuti
Foto di Richard Hurd

Ingegnere agrario, piccolo agricoltore e sostenitore dell’uso dei combustibili fossili in Africa. In copertina, l’immagine di una foresta con sopra la scritta “We love CO2 and so should you”. Si presenta così sul suo profilo X Jusper Machogu, ventinovenne originario della zona rurale di Kisii, nella parte sud-occidentale del Kenya, la cui storia nei giorni scorsi ha attirato anche l’interesse della BBC.

Su X Machogu racconta ogni giorno il duro mestiere di lavorare la terra nel suo paese, le difficoltà di doverlo fare a mani nude senza l’ausilio di mezzi meccanici e di quanto sia necessario l’apporto dei combustibili fossili per incrementare la produzione e permettere così agli africani di aumentare il volume dei propri raccolti e, di conseguenza, il proprio reddito.
I primi post di Machogu sul social network risalgono alla fine del 2021. A quel periodo risale il lancio della campagna “Fossil fuels for Africa”, claim attraverso cui chiedeva ai governatori africani di attingere a piene mani dalle vaste riserve di petrolio, gas e carbone di cui dispone il continente per far uscire l’Africa dallo stato di povertà permanente in cui versa e sottrarla agli interessi occidentali.

#ClimateScam

Nel corso del tempo, con l’aumentare dei follower (oggi sono arrivati a più di 27mila) i messaggi di Machogu sono diventati più articolati, finendo con l’entrare in modo sempre più evidente nel campo minato del negazionismo climatico. Usando l’hashtag #ClimateScam, collegato ai post che sui social media negano la crisi climatica in atto, Machogu ha iniziato a minimizzare gli effetti delle attività antropiche sul clima che cambia tirando fuori le prime teorie complottistiche. Sempre su X ha dichiarato, ad esempio, che il cambiamento climatico provocato dall’uomo non è solo una “bufala” ma anche uno stratagemma delle nazioni occidentali per «mantenere l’Africa povera».

Nel passare al setaccio i profili che lo seguono su X, BBC Verify, il servizio di fact-checking lanciato dall’emittente britannica, ha scoperto che la maggior parte degli utenti che interagiscono con il suo account si trovano non in Kenya o in altri paesi dell’Africa ma negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Canada. Molti di questi utenti sono fan dei complotti non solo sulla crisi climatica ma anche sui vaccini contro il Covid-19 e sulla guerra in Ucraina. E da alcuni di questi profili sono arrivati anche dei fondi a sostegno della causa portata avanti da Jusper Machogu. Dagli Stati Uniti un suo sostenitore gli ha pagato le spese per permettergli di partecipare a fine 2023 a un meeting in Sudafrica in cui si promuoveva l’estrazione di petrolio e gas in Africa. Pochi mesi prima i curatori di un documentario cospirazionista sui temi ambientali erano andati a trovarlo a Kisii per intervistarlo.

Secondo BBC Verify, che ha esaminato le pagine di crowdfunding create da Machogu, negli ultimi due anni l’agricoltore ha raccolto più di 9.000 dollari in donazioni. Machogu non ha fatto particolare mistero di come avrebbe usato questi soldi: in parte per arredare la sua nuova casa, in parte per dare una mano alle famiglie di alcuni villaggi costruendo per loro un pozzo per l’acqua, acquistando bombole di gas per o collegando le loro abitazioni alla rete elettrica.

Su X i sostenitori di Machogu non hanno reagito bene all’immagine controversa che di lui è emersa dal reportage della BBC. Nel difenderlo un suo follower ne ha confermato le teorie: «Machogu sottolinea semplicemente il fatto che senza mezzi alimentati a gasolio gli agricoltori africani affronteranno un futuro di fatica infinita e massacrante. L’Africa ha abbondanti risorse di combustibile. Ma agli africani ne viene negato l’accesso da una comunità internazionale allarmista sul clima».

Machogu ha sempre respinto al mittente i sospetti secondo cui riceverebbe soldi da compagnie energetiche o da lobby che ne curano gli interessi. E in effetti quelli che finora ha messo insieme con le sue campagne di crowdfunding sono spiccioli rispetto a quanto potrebbe ricevere dai player delle fossili per essere influenzato e spinto a parlare bene di loro.

Manipolazione ben nota 

Il cortocircuito mediatico e comunicativo innescato dalla sua figura è però sotto gli occhi di tutti. «Il meccanismo usato per diffondere messaggi sul negazionismo climatico è identico a quello usato per i vaccini contro il Covid o per le scie chimiche», spiega a Nigrizia Luigi Colombo, responsabile Digital engagement di Legambiente, associazione che insieme a Nuova Ecologia ha lanciato a fine 2020 la campagna Unfakenews proprio per stanare le bufale su ambiente e salute attraverso una costante attività di monitoraggio e debunking. «Chi progetta come diffondere le fake news lo fa basandosi e facendo leva sulle teorie proprie dell’influenza sociale e della comunicazione persuasiva, sfruttando i pregiudizi cognitivi che ad esempio ci inducono a credere che il fatto raccontato sia vero, anche solo perché viene diffuso e condiviso in una comunità di utenti di cui ci fidiamo».

Il resto lo fanno le piattaforme sui cui si poggiano i social media e i sistemi di algoritmi: più persone vedono il post, più ci interagiscono mettendo like o condividendolo, più la persona che legge il post viene spinta a credere che quella notizia sia vera. «Le fake news sono sempre esiste, ma prima era indubbiamente più difficile diffonderle e farle diventare virali– prosegue Colombo – Oggi, per l’architettura e le tecnologie usate, che fanno leva sulle basi dell’influenza sociale, gli ambienti digitali sono gli habitat ideali per produrre questo effetto».

Sull’ipotesi che figure come quella di Jusper Machogu possano essere sostenute dall’esterno con donazioni per veicolare determinati tipi di messaggi, si tratta di uno schema rodato soprattutto negli Stati Uniti. «Ci sono armate organizzate di profili fake che fanno attività di disinformazione pura – continua Colombo – L’origine della marea di profili che contribuiscono a far diventare un contenuto virale non è accertata, ma è chiaro che dietro, una regia c’è. In Italia, rispetto agli Stati Uniti dove il negazionismo puro della crisi climatica è sempre in voga, si è passati a un negazionismo più sofisticato che tramuta la negazione del fenomeno nella negazione dell’urgenza di assumere delle decisioni per fermarlo».

Una pratica comunque efficace, secondo Colombo. «In questo modo – spiega – si insinua comunque il dubbio negli utenti, mettendo in discussione cose che non dovrebbero esserlo, ma il meccanismo è sempre lo stesso. Per sconfiggere la disinformazione però non basta soltanto l’attività di fact-checking, anche perché il continuo effetto di influenza della disinformazione porta le persone che ne sono state esposte a continuare a crederci, anche dopo che questa è stata smascherata».

Per intervenire, è necessario allargare la prospettiva. «Il fenomeno – sostiene l’esperto di Legambiente – va necessariamente affrontato in un più ampio contesto sociale, politico e tecnologico. Servirebbe maggiore integrazione nell’impegno delle varie piattaforme digitali, così come sul lato legislativo – come in Europa si sta provando a fare – occorrono altri interventi. Senza dimenticare l’importanza di educare i lettori a un’informazione corretta. Vale per l’ambiente ma vale anche per la politica».

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