Il Ciad si avvia a lanciare il 20 agosto, nella capitale N’Djamena, un dialogo nazionale e la giunta militare, che governa il paese dall’aprile 2021 (dalla morte del generale-presidente Idriss Déby al potere dal 1990), ci arriva con in mano un accordo di pace siglato ieri con 42 gruppi ribelli.
La firma è stata ottenuta dopo 5 mesi di trattative a Doha (Qatar) ed è stata definita dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres «un momento chiave per il popolo ciadiano». Guterres ha insistito sulla necessità che il dialogo che si va aprendo abbia un carattere «inclusivo».
Va comunque registrato che uno dei principali gruppi ribelli, il Fronte per l’alternanza e la concordia in Ciad (Fact,) non ha sottoscritto l’accordo e ciò pone più di qualche interrogativo sulla consistenza del dialogo nazionale.
Quando alla morte del padre, ucciso in uno scontro a fuoco con un gruppo ribelle, il figlio Mahamat Idriss Déby si era fatto proclamare presidente di un consiglio militare di transizione composto da 15 militari, aveva promesso elezioni libere e democratiche nell’arco di 18 mesi. Ma il dialogo nazionale con l’opposizione politica e con i gruppi ribelli è andato a rilento, e quindi è piuttosto improbabile che si possano tenere elezioni entro il 2022.
L’accordo di Doha prevede un cessate il fuoco generale, la liberazione dei prigionieri di entrambe le parti e l’avvio di un programma di disarmo, smobilitazione e reintegrazione dei gruppi ribelli (reintegrazione nelle file dell’esercito ciadiano che è uno dei meglio strutturati nel Sahel). Inoltre i ribelli condannati e in stato di detenzione usufruiranno di un’amnistia. Le autorità garantiscono la sicurezza degli aderenti ai gruppi politico-militari e dei loro famigliari; in contropartita i gruppi armati devono rinunciare definitivamente alla lotta armata.
Infine l’accordo sancisce che il dialogo nazionale si deve occupare della riforma dell’esercito e della revisione della carta di transizione. La riforma dell’esercito è un capitolo delicato perché, se si va verso le elezioni che consegnano il potere ai civili eletti, i militari dovranno fare un passo indietro. A cominciare dai membri dell’attuale giunta di transizione che, secondo molti partecipanti al dialogo nazionale, non dovrebbero poter presentarsi alla prossime elezioni