Le circostanze della morte del presidente-dittatore del Ciad Idriss Déby, il 20 aprile di due anni fa, rimangono opache. E all’insegna dell’opacità si è svolto il processo che per quella morte ha condannato circa 400 ribelli al carcere a vita.
Le udienze del processo, iniziato un mese fa, si sono tenute a porte chiuse nella prigione di Klessoum, non lontano dalla capitale N’Djamena. E il procuratore generale Mahamat El-Hadi Abba Nana non si è nemmeno degnato di fornire il numero esatto dei condannati per «atti di terrorismo, arruolamento di bambini e attentato alla vita del capo dello stato».
I ribelli in questione sono riconducibili al Fronte per l’alternanza e la concordia in Ciad, un gruppo armato che nella primavera di due anni fa lanciò un’offensiva muovendo dalle sue basi nel sud della Libia. Stranamente, a guidare la risposta dell’esercito ciadiano fu lo stesso Déby, al potere da una trentina d’anni.
Il 20 aprile 2021 l’esercito annunciò che il presidente era rimasto ucciso durante un scontro con i ribelli. E riferì anche che uno dei figli di Déby, il generale Mahamat Idriss Déby Itno, era stato nominato presidente con il compito di governare una fase di transizione, avvalendosi di una giunta militare composta di 15 generali.
Riassumendo: non è stata fatta chiarezza sulla morte del presidente, i ribelli hanno subito un processo sommario e la transizione che dovrebbe portare al voto nel 2024 è segnata da scontri e repressione.