A Brescia, si è appena concluso la seconda edizione dell’Afrobrix Festival, dedicato ai cortometraggi realizzati da registi afroeuropei.
Gli spettatori in sala hanno potuto banchettare con 22 cortometraggi provenienti da 8 paesi europei, due lungometraggi e un corto egiziano fuori concorso, I am afraid to forget your face, vincitore della Palma d’oro a Cannes nel 2020.
In quanto primo e unico festival del genere in Italia, l’evento aveva già un buon motivo per vantarsi, ancor prima di iniziare. Ma ne ha meritati altri, grazie alla qualità dei film selezionati e alla qualità degli incontri e presentazioni a lato.
Per avere un’idea dell’innovazione portata dal festival, è meglio passare in rassegna i tre vincitori.
Questione di approcci
Il terzo posto è andato a Destiny, opera prima di Alhassan Jallow e Edouard Lemiale. Il film ripercorre le difficoltà di integrazione del protagonista in Italia, alle prese con le insidie spesso riservate ai migranti arrivati via mare: una domanda di asilo rifiutata, il caporalato agricolo e un’offerta di soldi facili tramite lo spaccio. Di per sé, è un soggetto ‘’convenzionale’’, anche se non per questo meno traumatico, visto che i fatti raccontati sono stati vissuti in prima persona dal regista Jallow, presente in sala per parlare del suo lavoro.
La sua originalità risiede piuttosto nella forma. Il film sfugge al registro linguistico del realismo e preferisce stilizzare le varie situazioni. Ne escono fuori una serie di brevi affreschi, dal sapore quasi onirico.
Il ragionamento si fa più sottile con il secondo classificato: Yuri, un’altra opera prima, firmata dal francese Baky DIA. É un corto di fantascienza, a sfondo ambientalista. In un futuro distopico, il mondo è a corto d’acqua e sull’orlo del disastro ecologico. Un alieno irrompe nella quotidianità di una cena a casa tra un uomo e suo figlio di 12 anni o poco più, con un importante annuncio rispetto al futuro dell’umanità.
A parte i notevoli effetti speciali per un film low budget (l’alieno non avrebbe stonato a bordo di un’astronave di Guerre Stellari), a colpire è la normalità dei personaggi terrestri. Papà e figlio sono francesi neri, presumibilmente di origine africana. Ma fossero stati bianchi, cinesi, messicani o indiani, non avrebbe fatto alcuna differenza ai fini della storia.
Lo stesso Baky, anche lui presente in sala, ha spiegato la sua scelta registica, dicendo che «nel cinema c’è un problema di sotto-rappresentanza delle comunità nere. Spesso un attore nero si vede affidare solo parti precise, che hanno a che fare con questioni di discriminazione, marginalità o lotta. Io invece ho cercato di normalizzare la loro presenza. Un nero può prendere il ruolo di un bianco. Per me anche questo è un contributo per equilibrare i conti della rappresentazione.»
Un ragionamento del genere non a caso viene da un paese come la Francia, in cui il discorso sull’immigrazione è più datato e sfaccettato, rispetto all’Italia.
L’afrodiscendenza italiana fa i conti con la storia
È un aspetto che sottolinea per Nigrizia anche il direttore artistico di Afrobrix, Fabrizio Colombo, missionario comboniano con alle spalle la direzione di vari festival di cinema africano, da Verona a Kigali e Zanzibar: «l’idea è che esistono altre narrazioni, diverse da quelle dell’africano immigrato, che danno adito anche ad una forma di paternalismo (il classico ‘’poverini bisogna aiutarli”). Il mondo afrodiscendente porta avanti un altro tipo di discorso. Per esempio, sta riscoprendo la cultura afrodiscendente nella storia d’Italia.»
Il suo riferimento è al cortometraggio vincitore di Afrobrix di quest’anno: Il Moro di Daphne Di Cinto. Una vittoria quasi d’ufficio, dato il livello tecnico e l’architettura concettuale che lo contraddistinguono. Non a caso ha fatto incetta di premi e selezioni prestigiose in festival in giro per il mondo, da Venezia a Toronto. E il mese scorso è arrivata persino la notizia dell’accesso alle qualifiche per la selezione agli Oscar 2024.
Il Moro è un corto storico, ambientato a Firenze nel 1529 e che ha per protagonista Alessandro de Medici. I libri di storia lo ricordano come primo Duca di Firenze – che allora equivaleva ad essere un Capo di Stato – ma sorvolano sul particolare che più interessa alla regista Di Cinto: era un afroitaliano. Per la precisione, figlio illegittimo di papa Clemente VII e di una serva di corte di origine africane.
Parlando di rappresentanza e eterogeneità dei ruoli: non è male pensare che un afrodiscendente fosse alla guida della Firenze rinascimentale. «È il mio omaggio alla comunità nera italiana», dice Daphne durante il Q&A in sala.
Per chiudere in bellezza (e molto in tema), Afrobrix ha offerto la visione dell’assai premiato lungometraggio Il Legionario. Il film racconta i contrasti e le contraddizioni di un poliziotto nero, membro del reparto della celere, alle prese con lo sgombero del palazzo occupato in cui vivono sua madre e suo fratello.
Ne è protagonista il talentuoso Germano Gentile, anche lui ospite del festival. Nel dialogo con il pubblico post-proiezione, ha fatto emergere con forza l’idea dietro il film, attingendo anche dalla sua personale esperienza. Da persona nera (e primo studente nero formatosi al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma), ha spiegato al pubblico come si sia trovato spesso «di fronte a proposte di ruoli piatti e stereotipati, come lo spacciatore e/o l’immigrato che parla male l’italiano». Tutt’altra storia con “Il Legionario”, in cui si trova nei panni di un personaggio complesso, pienamente italiano, con un appartenenza in bilico tra la sua famiglia originaria e quella adottiva del lavoro. E di appartenenza conflittuale si tratta, non solo per motivi razziali. Le questioni di classe e politica sono altrettanto, se non più, centrali.
Cambiamento in corso
Insomma, un programma di tutto rispetto quello tirato su dal team di Afrobrix e di cui essere soddisfatti. Per Hadija Francesca Sanneh, co-organizzatrice e animatrice dei dibattiti insieme ad Aziz Sawadogo, «siamo contenti del livello di questa edizione. In Italia c’è un fermento nel settore afrodiscendente tanto grande quanto sotto-rappresentato. Con eventi del genere, speriamo di aiutare a farlo emergere. Non è solo una questione culturale, ma politica in senso lato».
Gli argomenti e gli approcci su cui riflettere non mancano ad Afrobrix, che già organizza una versione estiva, incentrata sulla musica.
Vista la dinamicità e l’urgenza espressiva della comunità afrodiscendente, non sarà un problema trovare altro materiale da mostrare e soggetti da dibattere. Piuttosto, è più probabile che la vera sfida sarà rimanere al passo del cambiamento.