Lo sviluppo delle aree urbane in Africa – sviluppo che sta procedendo da anni a ritmo sostenuto – potrebbe “affrontare rischi biofisici senza precedenti”. È questo l’avvertimento che la Coalizione per le transizioni urbane (Coalition for Urban Transitions) lancia attraverso un report che analizza quali sono questi “rischi”, come affrontarli e, naturalmente, la portata degli investimenti necessari. Si tratta di 280 miliardi di dollari che da qui al 2050 sarà necessario – anzi indispensabile – investire per combattere gli effetti del cambiamento climatico. E questo – per cominciare – solo in 35 città del Sudafrica, Kenya ed Etiopia.
Il continente africano – si legge nel report – sta registrando da decenni (una popolazione cresciuta di venti volte tra il 1950 e il 2015) il più rapido tasso di urbanizzazione a livello globale e crescerà ancora di 950 milioni di persone la popolazione che nel giro di trent’anni abiterà le città. Tutto questo rende necessaria una programmazione accurata ed efficiente che affronti non solo i problemi legati alla sovrappopolazione delle aree urbane ma anche il cambiamento climatico e i suoi effetti.
Effetti che stanno interessando da tempo un continente che inquina poco (l’Africa produce solo il 2% di gas serra) ma risente molto dell’inquinamento altrui. Entro il 2050, le temperature atmosferiche medie nel continente saranno quasi certamente di almeno 2°C al di sopra della media, cosa che naturalmente impatterà sulla vita dei suoi abitanti, sui raccolti, sulle abitudini alimentari, sulle migrazioni forzate. In termini di costi, si stima che la bassa capacità di resistere alle conseguenze dei disastri naturali equivalga a 832 milioni di dollari ogni anno. E una quota crescente di questo costo è – e sarà sempre più – a carico delle città.
Sono 79 – avvertono gli esperti – le città africane in più rapida crescita e nello stesso tempo ad “estremo rischio” per i danni legati al cambiamento climatico. Tra queste 15 capitali e molti dei principali hub commerciali del continente. L’elenco include Abuja, Addis Abeba, Dar es Salaam, Kampala, Lagos e Luanda dove la popolazione annuale è destinata a crescere tra il 3,7 e il 5% entro il 2035.
La Coalizione per le transizioni urbane, che fornisce consulenza ai governi sullo sviluppo economico e sul riscaldamento globale, indica i tre pilastri che saranno cruciali per uno sviluppo urbano a basse emissioni di carbonio e resiliente al clima, in sostanza per uno sviluppo sostenibile. Il primo è una crescita urbana compatta – dove gli investimenti e i servizi siano diffusi e raggiungano tutta la popolazione -, poi infrastrutture connesse e tecnologie pulite. Agire su questi fronti significa operare con efficienza dei costi e delle risorse, creare posti di lavoro attraverso i vantaggi delle economie di scala e promuovere la resilienza e la produttività.
Ma come trovare i fondi per investire in “città verdi”? Il report propone, tra le altre cose, partnership per esternalizzare la gestione di infrastrutture chiave per la difesa del territorio dai cambiamenti climatici, l’adesione a servizi e programmi di efficienza energetica delle abitazioni ma anche strumenti di finanziamento pubblici e privati in cui anche i cittadini abbiano un ruolo attivo, per esempio con l’adesione a “fondi per il clima” o alle “obbligazioni verdi”, e pool assicurativi per garantire interventi e compensazioni nel caso di eventi estremi. Assolutamente indispensabile sarà lavorare a soluzioni alternative per la riduzione e smaltimento dei rifiuti e per la produzione di energia alternativa.
Un esempio di situazione da capovolgere – e quanto prima – viene dal Ghana dove quasi il 60% delle famiglie urbane utilizza ancora combustibili inquinanti – come carbone e legna – per la cottura, il 40% nella capitale Accra. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) le infezioni respiratorie, l’ictus e la cardiopatia ischemica, associati all’inquinamento atmosferico domestico, sono tre delle prime cinque cause di mortalità nel paese. Tutto sta a favorire soluzioni alternative, implementarle, sostenerle a livello economico.
Sarà un percorso lungo e niente affatto semplice e richiederà una forte leadership e collaborazione tra i livelli del processo decisionale, insieme a strumenti di finanziamento efficaci per finanziare la trasformazione. Un percorso che dovrà svolgersi su più fronti: quello della gestione dei rifiuti, appunto, della mobilità e dei trasporti – affrontando dunque anche la questione dell’uso di mezzi vecchi e altamente inquinanti, della realizzazione di edifici efficienti dal punto di vista energico, puntando anche sul solare -, del miglioramento della logistica per evitare sprechi e risorse aggiuntive, della prevenzione dei disastri. Insomma, un approccio a tutto campo che richiede volontà, competenze e denaro.
Intanto, l’analisi degli esperti sottolinea alcuni esempi dei danni provocati ad alcune città africane dalla crisi climatica. Si cita Kampala dove la temperatura è continuata a crescere negli anni provocando precipitazioni più intense, ma anche più variabili, con conseguente aumento di inondazioni e periodi di siccità più lunghi. Cose che incidono sulla vita di tutti i giorni, ad esempio provocando interruzione della produzione di energia idroelettrica e quindi distribuzione di elettricità.
C’è poi l’innalzamento dei livello del mare che in molte aree (Lagos, Dakar, ma anche Alessandria e Port Said), calcolata già in 0,5 metri, potrebbe presto significare l’abbandono delle proprie case per 2 milioni di persone, la perdita di 214mila posti di lavoro e di oltre 35 miliardi di dollari di valore immobiliare e di reddito turistico. Un costo che non tiene conto della perdita di siti storici, culturali e archeologici di fama mondiale che si trovano in queste città.
Passiamo a Cape Town in Sudafrica, dove parti della città sono costruite su terreni bonificati e il costo dell’innalzamento del livello del mare è stato stimato tra i 49 milioni e i 2 miliardi di dollari entro il 2035. Le ricorrenti inondazioni indotte dai cambiamenti climatici hanno invece causato gravi perdite economiche in città del Senegal. Le inondazioni del 2009 a Saint Louis, Kaolack, Thies e Dakar hanno provocato la sfollamento di oltre 200mila persone e causato più di 100 milioni di dollari di danni e perdite. Successive alluvioni nel 2012 a Saint Louis, Bambey e Dakar hanno provocato lo sfollamento di 5mila famiglie. Secondo la Banca mondiale, ulteriori inondazioni nella sola regione di Dakar si risolverebbero nella perdita di 40 miliardi di euro di risorse economiche.
Per passare all’area orientale del continente, si stima che il 17% della superficie della città di Mombasa, in Kenya, pari a 4.600 ettari, potrebbe essere sommersa da un innalzamento del livello del mare di 0,3 metri, con un’area più ampia resa inabitabile o inutilizzabile per l’agricoltura a causa del ristagno idrico e dello stress salino.
Infine, sulla costa occidentale, si prevede che un innalzamento del livello del mare ad Abidjan, in Costa d’Avorio, inonderà 562 chilometri quadrati lungo la costa, le paludi e le lagune che dominano la zona costiera. Ad essere a rischio, in questo caso, sono anche il porto della città – che è il più grande del paese – e l’aeroporto internazionale, situato a meno di 1 metro sul livello del mare.
Negli ultimi anni, cicloni insolitamente forti hanno colpito la costa sudorientale dell’Africa, mentre la siccità ha inaridito l’Africa meridionale e inondazioni e frane hanno colpito il Corno d’Africa. Cape Town, la seconda città più grande del Sudafrica, ha quasi esaurito l’acqua nel 2018.
Questo nuovo rapporto esplora il modo in cui le sfide climatiche e urbane potrebbero essere affrontate in tandem per impostare le città africane su un percorso di prosperità e sviluppo sostenibile a lungo termine. Raccomanda le misure che i governi a livello nazionale, locale e cittadino potrebbero adottare per attirare il capitale necessario per affrontare le priorità relative allo sviluppo e alla crescita economica, nel contesto della rapida urbanizzazione e della crescente vulnerabilità ai cambiamenti climatici.