Negli ultimi 13 anni organizzazioni di base in Africa hanno ricevuto meno di un quarto degli aiuti pubblici allo sviluppo per il contrasto al cambiamento climatico che la Gran Bretagna ha destinato al continente. Oltre un decimo di questo denaro è finito nelle casse di grandi società di consulenza con sede in Occidente.
I dati sono stati rivelati da Carbon Brief, un portale di notizie specializzato nella scienza e nella gestione politica dei cambiamenti climatici, e sono stati rielaborati per quanto riguarda il contesto africano da African Arguments, una piattaforma di notizie e approfondimenti nata su impulso della Royal African Society britannica.
Le percentuali riportate da African Arguments fanno riferimento alla provenienza delle realtà che devono gestire il denaro e non a dove hanno effettivamente luogo i progetti finanziati, che si sviluppano in Africa come previsto. Fra le iniziative finanziate dagli aiuti pubblici britannici, un piano nazionale per lo sviluppo delle infrastrutture della Nigeria o un’iniziativa per la modernizzazione del sistema agricolo in Sudan.
L’appello degli LDC
Il tema degli enti che gestiscono gli aiuti è ritenuto essenziale per il contrasto ai cambiamenti climatici nei paesi in via di sviluppo. Un gruppo di 46 paesi a basso reddito particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici, i Least Developed Countries (LDC), ha affermato che è necessario che entro il 2030 almeno il 70% delle realtà che ricevono aiuti sul clima siano attori locali. Gli LDC agiscono nel contesto della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).
L’indagine di Carbon Brief è stata condotta su scala globale e si basa sull’analisi di oltre 25mila transazioni fra quelle registrate su una piattaforma di monitoraggio degli aiuti messa a disposizione dal governo britannico. Il denaro oggetto del report proviene per la stragrande maggioranza dall’International Climate Finance (ICF), un fondo che Londra ha creato per sostenere i paesi in via di sviluppo nella lotta contro i cambiamenti climatici e i suoi effetti.
Di tutto il denaro inviato all’Africa dal 2010 a oggi, circa 6,6 miliardi di sterline, oltre 7,5 miliardi di euro, il 67% è stato inviato a enti od organizzazioni che hanno sede nel cosiddetto global north, un termine che serve a indicare in genere le regioni del mondo ad alto reddito come Stati Uniti e Unione Europea.
Circa un terzo degli aiuti è arrivato agli uffici di organizzazioni multilaterali. Nei paesi in via di sviluppo questi organismi sono di solito ritenuti più affidabili dei privati. Allo stesso tempo queste organizzazioni detraggono dai soldi che ricevono una serie di spese, come stipendi e tasse.
Se si toglie il denaro che finisce alle organizzazioni citate lo squilibrio nord-sud resta eloquente: il 59% del resto dei finanziamento non è arrivato a realtà africane.
Soldi ai big della consulenza
Il 13%, circa un miliardo di euro, è stato destinato a grandi società di consulenza come Pwc e Kpmg. Nel caso di Ghana e Nigeria l’88% dei fondi sono stati incanalati attraverso queste società private. Delle 63 compagnie di questo tipo che hanno ricevuto denaro dal governo britannico, 59 si trovano nel global north e più della metà in Regno Unito.
Il dato africano è in linea con quello che emerge a livello globale. Degli oltre 19 miliardi di sterline (oltre 21 miliardi di euro) erogate dal Regno Unito nel mondo, circa 2,1 miliardi (2,4 miliardi in euro) sono andati alle compagnie di consulenza.
Il ruolo di queste realtà è controverso e ragione di critiche da parte della società civile in tutto il mondo. «A questo punto, gli aiuti climatici del Regno Unito non possono neanche essere considerati finanziamenti per il clima. Sono più simili a un pacchetto di stimoli governativi per aiutare le proprie società di consulenza finanziaria», ha denunciato Mohamed Adow, presidente del think tank africano Power Shift Africa ascoltato da African Arguments.
In aggiunta altre 634 milioni di sterline, 728 milioni di euro, sono stati inviati a ong che non hanno sede centrale in Africa mentre 397 milioni di sterline, equivalenti a 455 milioni di euro, sono finiti a realtà del settore pubblico di paesi non africani. In questo caso però l’equilibro è favore degli enti di base in Africa, visto che su circa 1,3 miliardi di sterline destinate al pubblico tutto il resto è stato inviato nel continente.
Sul finire del 2020 la Gran Bretagna ha ridotto gli aiuti pubblici allo sviluppo dello 0,2% del reddito nazionale lordo, motivando la decisione con la necessità di utilizzare più fondi nel contrasto locale alla pandemia di Covid-19. Come osserva Carbon Brief, la proporzione nei fondi inviati a organizzazioni che non hanno sede in Africa non è cambiata, rimanendo a favore di queste ultime.