Clima ostile ai cambiamenti - Nigrizia
Ambiente Uganda
Ambiente / Intervista a Vanessa Nakate
Clima ostile ai cambiamenti
L’attivista ugandese di Friday for future chiede maggiore giustizia climatica e si sta già preparando per la Conferenza di novembre in Egitto: «Occasione importante per ottenere maggiori risultati concreti rispetto a quelli ottenuti nelle precedenti edizioni della COP». Il suo impegno di sensibilizzazione è soprattutto nelle scuole
20 Gennaio 2022
Articolo di Irene Lamunu (Kampala, Uganda)
Tempo di lettura 8 minuti
Vanessa Nakate

Sharm El-Sheikh (Egitto) ospiterà dal 7 al 18 novembre 2022 la COP27 (la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici). Dopo averle dedicato la copertina del numero di dicembre 2021, abbiamo incontrato a Kampala e intervistato, anche in vista di tale appuntamento, la nota giovane militante ugandese Vanessa Nakate, già presente e attiva alla 26ª edizione della Conferenza, svoltasi dal 31 ottobre al 13 novembre scorsi a Glasgow (Scozia).

Com’è iniziato il suo impegno per la difesa dell’ambiente?

Verso la fine del 2018 iniziai una ricerca riguardante varie sfide legate al clima che la gente della mia comunità si trovava ad affrontare. Scoprii allora che molte persone subivano l’impatto negativo dovuto al cambiamento climatico. Decisi così di fare qualcosa al riguardo, e trassi ispirazione da Greta Thunberg nell’organizzare, in gennaio 2019, il primo sciopero sul clima qui in Uganda.

A spingermi fu la visione delle deleterie conseguenze del cambio climatico in aree come Bududa, Bundibugyo e, soprattutto, nell’area di Mount Elgon dove si sono verificate inondazioni e slavine, come pure nelle zone occidentali dell’Uganda che hanno subito gravi allagamenti. Decisi di organizzare iniziative concrete di sensibilizzazione al fine di promuovere maggiore “giustizia climatica”.

Avrebbe mai pensato di diventare un giorno la voce e il volto della ribellione dei giovani africani nei confronti dell’indifferenza dei governi per i problemi ambientali?

Non mi sento voce e volto dei giovani africani e dell’attivismo riguardante i mutamenti climatici, perché il movimento ha milioni di volti e di voci di giovani in tutto il mondo e tutti alzano insieme la propria voce. Ritengo importante, quindi, che il movimento per il clima sia visto in questo modo, cioè come un movimento globale che coinvolge un vasto numero di giovani della provenienza più varia.

Persone che hanno da raccontare e condividere le proprie storie ed esperienze, dato che ogni attivista ha una storia e ogni storia offre una soluzione e ogni soluzione implica una trasformazione di vita.

Ha preso parte, due anni fa, alla Cop25 in Spagna. Che cosa è cambiato con la Cop26 tenutasi a Glasgow?

Nella Conferenza tenutasi in Spagna avevo potuto incontrare moltissimi attivisti e ho avuto modo di far parte della loro organizzazione e mobilitazione, lavorando su molte tematiche durante la Conferenza stessa. Ma ricordo che alla fine della COP25 circolava un forte disappunto guardando ai risultati e al fatto che di benefici reali il clima non ne avrebbe goduti, né per il pianeta né per le popolazioni.

Lo stesso è successo con la COP26: i grandi impegni e le belle promesse avanzate teoricamente non cambieranno per nulla il riscaldamento climatico. Gli impegni soltanto astratti non fermano di certo le sofferenze della gente e le promesse vuote non fermano l’innalzamento della temperatura, soltanto l’azione concreta può far questo. Si sono tenute tutte queste COP lungo gli anni ma la temperatura non ha fatto che salire. Abbiamo bisogno di un vero intervento concreto e un’azione reale sul clima. 

Che relazioni ha con il Global Movement for Friday for future e con Greta Thundberg?

Greta è una grande attivista per l’ambiente, questo è tutto ciò che posso dire.

Quali ostacoli – se ce ne sono stati – ha incontrato nel formare in Uganda il movimento per la trasformazione dell’ambiente?

Tra i principali ostacoli c’è certamente la scarsissima consapevolezza della gente sui problemi dell’ambiente. Quando uno possiede una casa decente, il cibo necessario e acqua pulita tende a pensare che tutti godano della stessa condizione. Solo guardando al di là della tua abitazione, specie verso le aree rurali, ti rendi contro del grave impatto che la crisi climatica provoca. Quando vedi le fattorie e i campi distrutti, le attività e gli affari interrotti, scuole e strutture sanitarie devastati per i disastri naturali.

D’altro lato, bisogna constatare che la gente non è consapevole delle cause di tutto ciò. Per cui la nostra priorità è sensibilizzare l’opinione pubblica al riguardo. In tal modo cerchiamo di essere presenti nelle scuole e in altre strutture educative, tra i diversi gruppi sociali, nelle comunità urbane e rurali e in genere tra la gente, così da aiutarli a capire e mobilitarsi a favore di un impegno per il rinnovamento dell’ambiente con iniziative concrete di lotta contro ciò che provoca l’aggravarsi delle condizioni climatiche.

Li invitiamo a unire le forze e a mobilitarsi come movimento unito, impegnato a bloccare il deterioramento dell’ambiente. Al tempo stesso, in campo scolastico cerchiamo di sensibilizzare evitando che gli studenti vengano sviati, compromettendo il loro quotidiano impegno educativo, e garantendo ai genitori che i loro figli non disertino la scuola per partecipare alle iniziative che organizziamo. Preferiamo andare noi stessi nelle scuole a fare attività di coscientizzazione in modo che gli studenti non debbano perdere le lezioni uscendo da scuola.

Qual è la situazione concreta dell’Uganda sui temi legati ai problemi climatici e all’ambiente?

Come in altri paesi, si assiste in Uganda a un progressivo aggravarsi delle condizioni climatiche dovuto in sostanza al riscaldamento della temperatura globale, al verificarsi di fenomeni metereologici contrapposti: lunghi e intensi periodi di piogge, che distruggono vaste aree coltivate, piantagioni e infrastrutture; oppure periodi di protratta siccità, che prosciugano le fonti idriche e bloccano la crescita delle coltivazioni, mettendo a rischio i raccolti, e creando in tal modo condizioni di grave carestia e fame.

L’Uganda è un paese dipendente dall’agricoltura, e questa è legata al ritmo delle precipitazioni. Il che significa che le comunità sono profondamente condizionate dalla trasformazione climatica e dagli effetti negativi che l’irregolarità delle piogge produce. Come ho detto prima, intere aree nel nord del paese soffrono di una persistente siccità, mentre in altre, e perfino nella capitale Kampala abbiamo assistito a inondazioni con gravi danni, causate da piogge eccezionali.

Il movimento Rise up, da lei creato, cosa chiede in particolare al governo di Kampala?

Ciò che con insistenza chiediamo al governo è un suo diretto coinvolgimento nella promozione della giustizia climatica, sostenendo la nostra lotta per creare maggiore coscienza popolare circa i problemi ambientali. L’Uganda, come molti altri paesi dell’Africa, ha bisogno di un effettivo finanziamento per investimenti in progetti che favoriscano la transizione alle energie rinnovabili e per la creazione di un futuro sostenibile.

In tal senso i governi dell’intero continente dovrebbero unirsi a tale scopo, tanto più che la prossima COP27 si svolgerà proprio in Africa, precisamente in Egitto, così da affrontare insieme le enormi sfide legate alle devastazioni provocate dal progressivo deterioramento delle condizioni climatiche e dall’innalzamento della temperatura globale. Facendo pressione in questo contesto perché vengano decisi finanziamenti concreti per affrontare tali sfide.  

Le responsabilità dei paesi ricchi riguardo ai cambiamenti climatici sono note. Pensa che vi siano anche responsabilità da parte dei governi africani?

Certamente le maggiori responsabilità per il deterioramento dell’ambiente sono attribuibili ai paesi ricchi, che si appropriano di gran parte delle materie prime nel continente sfruttandole per la produzione di prodotti non biodegradabili e producendo, in tal modo, gran parte di rifiuti, spesso tossici, di cui si liberano riportandoli e sversandoli clandestinamente sulle coste di nazioni africane.

Ricade soprattutto su di loro, quindi, la responsabilità nel cercare le soluzioni concrete al dramma dell’innalzamento della temperatura e del deterioramento dell’ambiente. In tal senso è indispensabile che venga creato un fondo finanziario specifico da investire nel settore.

Tuttavia, anche i governi africani hanno le loro responsabilità e sono chiamati a fare la loro parte sia nelle campagne di sensibilizzazione sui problemi ambientali sia nell’invitare le nazioni ricche a finanziare progetti di risanamento ambientale in Africa, contribuendo peraltro essi stessi a tale fondo e sostenendo movimenti come il nostro, impegnati nel lavoro di coscientizzazione per la giustizia climatica e per la salvaguardia della natura.    

Quali sono, in conclusione, i futuri obiettivi del vostro movimento?

Guardando in prospettiva, al prossimo COP27, ci stiamo mobilitando e organizzando per garantire che le voci dei diversi attivisti africani per il clima trovino piena rappresentanza nella Conferenza, così da promuovere la più ampia sensibilizzazione alle enormi sfide climatiche che il continente già da ora deve affrontare.

In secondo luogo, intendiamo sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale sul fatto che l’Africa – che è responsabile soltanto per il 4% delle emissioni globali dei gas che producono l’effetto serra e l’innalzamento della temperatura del pianeta – sta già pagando il prezzo più alto. Intendiamo quindi operare su vari fronti, sia in relazione ai governi sia con le popolazioni africane, perché il COP27 offra qualche soluzione più concreta ai gravi problemi climatici rispetto alle precedenti edizioni della Conferenza sul clima.

(Intervista pubblicata sul numero di febbraio di Nigrizia)

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