La cosa era nell’aria già da diverse settimane. Alla fine questa mattina all’alba i militari hanno preso con la forza il potere. Il primo ministro Abdalla Hamdok, la maggior parte dei membri del governo e un gran numero di leader politici appartenenti alla coalizione delle Forze per la libertà e il cambiamento (Ffc) sono stati arrestati.
Le forze militari e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) si sono dispiegate nella capitale, Khartoum, limitando i movimenti dei civili che stanno comunque cercando di radunarsi per manifestare seguendo l’appello lanciato su Twitter da Hamdok che ha chiesto di “scendere in strada” per “difendere la rivoluzione” che nel 2019, con il fondamentale contributo proprio dei militari, aveva rovesciato il trentennale regime islamista di Omar El-Bashir. Un appello in seguito rilanciato sui social da suo ufficio.
Il primo ministro, inizialmente agli arresti nella sua abitazione, sarebbe stato portato in un luogo sconosciuto dopo il suo rifiuto a rilasciare una dichiarazione a sostegno dei golpisti.
Anche l’Associazione dei professionisti, una delle organizzazioni che guidarono la rivolta nel 2019, ha invitato i sudanesi alla “disobbedienza”.
Video pubblicati su Facebook denunciano che nella capitale i militari hanno aperto il fuoco contro i manifestanti che hanno superato le barricate e sono entrati nella strada che circonda il quartier generale dell’esercito che ha sparato sui civili provocando almeno due morti e decine di feriti.
L’aeroporto di Khartoum è stato chiuso e i voli internazionali sono stati sospesi. Internet e la rete elettrica sono stati disattivati in vari settori della capitale.
Poco fa presidente del Consiglio sovrano e capo di stato maggiore dell’esercito, generale Abdel Fattah al-Burhan ha annunciato l’imposizione dello stato di emergenza in tutto il paese e lo scioglimento del Consiglio sovrano e del governo. Affermando che l’accordo del 2019 tra la leadership civile e militare si è trasformato in una lotta che minacciava la pace e la sicurezza, al-Burhan ha anche comunicato la rimozione dei governatori degli stati federali e la tenuta di elezioni nel luglio 2023.
Dalla capitale il racconto di queste ore di una fonte di Nigrizia protetta da anonimato:
Il 21 settembre le autorità civili e militari che guidano la transizione in Sudan avevano annunciato d’aver sventato un progetto di colpo di stato organizzato da diversi corpi dell’esercito fedeli all’ex regime.
Venerdì scorso i sostenitori dei militari avevano organizzato una protesta contro il governo di transizione di Hamdok nella capitale. Alcuni giorni prima decine di migliaia di sudanesi avevano marciato a Khartoum e altre città del Sudan a sostegno del governo di transizione di Hamdok.
Gli apparati militari sono da mesi sotto pressione per la volontà del governo di transizione di riformare l’esercito che non è stato ancora epurato dai tanti militari rimasti fedeli all’ex regime. Le tensioni hanno riguardato anche le Forze di supporto rapido, restie ad essere integrate nell’esercito regolare e a perdere parte dell’enorme potere economico e politico acquisito.
A spostare l’ago della bilancia a favore dei militari è stata nelle scorse settimane la scissione interna alle Ffc compiuta da due ex gruppi armati: il Movimento di liberazione del Sudan (Slm-MM) di Minni Minnawi e Movimento giustizia e uguaglianza (Jem) di Gibril Ibrahim che chiedevano lo scioglimento del governo.