È iniziato zoppicando il 26 ottobre a Brazzaville, capitale del Congo, il vertice dedicato ai bacini forestali dell’Amazzonia, del Borneo-Mekong e del Congo, che rappresentano l’80% delle foreste tropicali, tre quarti della biodiversità del pianeta e hanno un ruolo essenziale nella partita per arginare i cambiamenti climatici.
Il padrone di casa, il presidente Denis Sassou-Nguesso, ha dovuto prendere atto che i responsabili politici dei paesi dell’area amazzonica e quelli del Borneo-Mekong hanno disertato l’appuntamento.
Significa che quando sabato (28 ottobre) si dovranno tirare le conclusioni politiche, dopo due giorni di relazioni e analisi affidati agli esperti, saranno solo i capi di Stato africani a confrontarsi e a tentare di definire il da farsi.
Dunque, a meno di ripensamenti dell’ultimo momento, il summit rischia di avere un esito ancora peggiore del precedente vertice tenutosi nel 2011, sempre a Brazzaville e sempre sui tre bacini forestali. All’epoca ne uscì una dichiarazione comune che impegnava i partecipanti a cooperare nella lotta alla deforestazione e a essere compatti in occasione dei negoziati sul clima (COP28) a novembre. Dichiarazione rimasta sulla carta.
Ora se l’obiettivo del vertice 2023 è di «costruire una coalizione mondiale per accelerare la transizione energetica», è chiaro che alla coalizione mancano parecchi pezzi.
Il bacino del Congo tocca questi paesi: Angola, Burundi, Camerun, Gabon, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Repubblica democratica del Congo. Rwanda, Tanzania e Zambia.
L’Amazzonia comprende nove stati: Brasile, Perù, Bolivia, Ecuador, Colombia, Venezuela, Guyana britannica, Suriname e Guyana Francese.
Il bacino del Borneo-Mekong è a cavallo tra l’Indonesia e la penisola indocinese. Il fiume Mekong attraversa Cina, Birmania, Tailandia, Laos, Cambogia e Vietnam.