Con il vantaggio di soli tre voti a favore, ieri il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (OHCHR) ha adottato una risoluzione che dà il via libera a una missione (Fact-Finding Mission – FFM), incaricata di indagare sulla situazione umanitaria e sui crimini commessi contro i civili nel conflitto in corso in Sudan.
La risoluzione A/HRC/54/L18, proposta da Regno Unito, Stati Uniti, Germania, Irlanda e Norvegia e fortemente osteggiata dal regime militare di Khartoum, è passata con 19 voti a favore, 16 contrari e 12 astenuti.
Il Sudan, che da sempre respinge la prospettiva di una missione esterna, sostenendo che le forze armate sudanesi siano l’unica autorità legittima in grado di punire i trasgressori, è riuscito a mobilitare a suo favore tutti i 13 membri africani del Consiglio, che non ne hanno sostenuto l’approvazione.
Hanno votato contro Sudan, Eritrea, Somalia, Senegal, Costa d’Avorio, Marocco e Algeria, mentre Sudafrica, Gambia, Malawi, Gabon, Camerun e Benin si sono astenuti.
Khartoum è stata sostenuta anche dal voto contrario di Cina, Qatar ed Emirati Arabi Uniti.
La squadra di esperti che sarà incaricata delle indagini troverà dunque un terreno particolarmente ostile all’interno del Sudan, i cui vertici militari hanno già cacciato dal paese lo scorso giugno l’inviato speciale delle Nazioni Unite e capo della missione integrata di assistenza alla transizione (UNITAMS) Volker Perthes, osteggiato dal regime sudanese fino al punto da costringerlo a dimettersi, il mese scorso.
Molto probabile dunque, che gli stessi militari non permettano l’ingresso nel paese ai membri di questa nuova missione.
Paese che, intanto, risulta sempre più dilaniato da un conflitto tra i più feroci e caotici al mondo.
Sette giorni fa, 17 gruppi per i diritti umani in tutta l’Africa hanno scritto al Consiglio ONU per i diritti umani, chiedendo l’invio di una missione che raccolga prove sulle responsabilità dei crimini commessi in sei mesi di guerra contro la popolazione dalle due principali forze in campo: l’esercito filo islamista (SAF) e i paramilitari Forze di supporto rapido (RSF).
Un appello che si unisce a i tanti lanciati in questi mesi da diverse organizzazioni sudanesi e internazionali che continuano a denunciare i crimini atroci commessi, tra cui stupri e violenze sessuali, omicidi di massa e sfollamenti forzati. Crimini che rischiano di sfociare in un vero e proprio genocidio nella regione occidentale del Darfur.