Cop 27 è stata archiviata alle 4 del mattino di domenica 20 novembre, con la riunione della seduta plenaria prevista originariamente per il pomeriggio del 18. Le 197 delegazioni che hanno partecipato all’incontro di Sharm el-Sheikh, presieduto dal ministro degli esteri egiziano Sameh Shoukry, hanno fatto non poca fatica a trovare una sintesi che fosse accettabile per tutti, delle discussioni avvenute nelle due fittissime settimane dei lavori.
La messa a punto del documento finale è stata resa difficile dalla necessità di trovare un accordo, almeno di minima, su due punti in particolare: la richiesta di fondi specifici per riparare le perdite e i danni del cambiamento climatico, avanzata con decisione dai paesi che ne sono più colpiti – cioè i paesi cosiddetti a basso e medio reddito, tra cui la maggioranza dei paesi africani -, e il problema della mitigazione – cioè della riduzione del danno – che implica un impegno graduale, ma veloce, con la rinuncia all’uso dei combustibili fossili, portata avanti soprattutto dalla delegazione europea, capeggiata dal vicepresidente della Commissione Ue, Frans Timmermans, sostenuto in particolare dal team tedesco guidato dalla ministra degli esteri, la Verde Annalena Baerbock, e dall’inviata speciale per il clima Jennifer Morgan, ex direttrice di Greenpeace International.
Fondi ai paesi colpiti ma solo tra più di un anno
Alla fine i paesi del sud del mondo, anche grazie alla mediazione europea, sono riusciti ad ottenere il fondo richiesto, denominato nel documento “loss and damage”, che era stato posto come punto prioritario all’ordine del giorno della conferenza dall’Egitto stesso.
L’istituzione del fondo è stato definito come storico dai rappresentanti dei paesi interessati ed è stato giudicato un successo anche dagli attivisti per il clima, in particolare da quelli che sottolineano la necessità di una “giustizia climatica”. Anche Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha detto che si tratta di «un piccolo passo verso la giustizia climatica» ma ha sottolineato che moltissimo resta ancora da fare.
Il fondo, cui dovranno contribuire i paesi industrializzati e che potrà essere arricchito anche dalle donazioni di altri paesi, da fondazioni, enti privati e banche di sviluppo, dovrà essere usato per riparare i danni causati dalle crisi climatiche sempre più gravi e frequenti nei paesi più vulnerabili.
Ѐ già stata istituita una commissione per stabilire quali paesi ne potranno beneficiare e a quali condizioni. Il risultato del suo lavoro dovrà essere presentato l’anno prossimo a Cop 28, che si terrà a Dubai, capitale degli Emirati Arabi Uniti.
Nulla di fatto, invece, per la mitigazione, cioè la riduzione di emissioni di gas serra per l’uso di combustibili fossili. Tanto che Timmermans nel suo intervento finale ha dichiarato: «Accettiamo questo accordo con riluttanza. Siamo orgogliosi di aver contribuito a risolvere il problema del “loss and damage”, ma sulle riduzioni delle emissioni abbiamo perso un’occasione e molto tempo… Siamo a 1,2 gradi di riscaldamento e abbiamo visto quali effetti questo stia già provocando. La soluzione non è finanziare un fondo, ma investire le nostre risorse per ridurre drasticamente il rilascio di gas serra nell’atmosfera».
Sul punto si è espresso in modo molto preoccupato anche Alok Sharma, presidente di Cop 26 che si è tenuta l’anno scorso a Glasgow: «Abbiamo dovuto combattere senza sosta per tenere la linea… Abbiamo fatto una battaglia per costruire sui risultati di Glasgow» che, a suo parere, sono stati attaccati in modo costante da diversi paesi.
Una vittoria per le lobby del fossile
Gli interessi delle multinazionali che guadagnano dall’estrazione, dalla lavorazione e dalla commercializzazione dei combustibili fossili, e anche quelli dei paesi in cui i loro proventi sono una buona parte del Pil, sono stati rappresentati alla conferenza da più di 600 lobbisti.
Secondo diversi osservatori almeno il 25% in più rispetto all’anno scorso. Visti i risultati, si può dire che sono loro i veri vincitori del confronto che si è svolto al tavolo di Cop 27. Ma sono stati facilitati nel loro lavoro anche dalla posizione della presidenza egiziana che, su questo punto, si è dimostrata debole, se non ambigua, prestandosi ad un gioco di sponda con gli stati petroliferi della penisola arabica. L’anno prossimo sarà Dubai ad ospitare Cop 28. Si può prevedere che il livello di scontro sulle emissioni di gas serra sarà ancora altissimo.
Non si può però dimenticare il clima in cui Cop 27 si è svolta, in piena crisi energetica a causa della guerra russa in Ucraìna. Le preoccupazioni internazionali sui rifornimenti energetici sono stati certamente un potente freno all’assunzione di posizioni più decise e coraggiose riguardo al percorso di graduale passaggio alle energie rinnovabili.
Una sintesi efficace dei risultati di Cop 27 è stata data dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, nel suo discorso di chiusura della conferenza: «Accolgo con favore la decisione di istituire un fondo per le perdite e i danni e di renderlo operativo nel prossimo periodo. Non sarà sufficiente, ma è un segnale politico assolutamente necessario per ricostruire la fiducia infranta. Tuttavia il nostro pianeta è ancora al pronto soccorso. Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questo è un problema che non è stato affrontato. Cop27 si è conclusa con molti compiti e poco tempo».