In un video pubblicato il 12 gennaio, alla vigilia del fischio d’inizio della 34ª edizione della Coppa d’Africa, si vedono i rapper senegalesi Xuman e Keyti destreggiarsi nelle vesti di telecronisti, impegnati nel racconto di un’ipotetica sfida tra il Green United, la squadra dei difensori del clima e la Oil United, la formazione delle compagnie petrolifere.
In un’altra clip, messa in rete il giorno precedente, i protagonisti sono il comico zimbabweano Munashe Chirisa e lo sceneggiatore e attore britannico Jolyon Rubinstein, ma l’argomento è lo stesso: il cinismo di Total Energies, accusata di sportwashing e greenwashing, ovvero di ripulire la propria immagine nel tentativo di darsene una più eco-friendly attraverso il calcio.
Nei due video non mancano riferimenti alle attività distruttive di Total Energies in Africa, in particolare alle cosiddette “bombe climatiche”, come il progetto dell’oleodotto EACOP tra Uganda e Tanzania, le trivellazioni petrolifere offshore e i progetti al largo delle coste del Sudafrica – nonostante le minacce all’ecosistema marino – per finire a quelli in Mozambico, stimati in oltre venti miliardi di euro, nella regione di Cabo Delgado, dilaniata da un’instabilità politica che ha costretto la compagnia francese a uscire dal business del gas per un periodo.
La campagna ambientalista
Il tutto fa parte di una campagna lanciata da Greenpeace Africa, in collaborazione con Kick Polluters Out, un collettivo di attivisti balzato all’onore delle cronache durante l’ultima COP28, la conferenza sul clima organizzata dalle Nazioni Unite e che si è svolta a Dubai.
«Total Energies ha commesso un errore: attraverso la sponsorizzazione della Coppa d’Africa, le piace presentare una versione ripulita ed ecologica di sé stessa», spiega Samm Farai Monro, co-fondatore di Kick Polluters Out e direttore di Magamba Network, parlando apertamente di greenwashing, il cosiddetto ambientalismo di facciata. «Ma la realtà è molto diversa. In un momento in cui gli scienziati ci dicono di fermare tutti i nuovi progetti di energia fossile, Total sta sviluppando più risorse di petrolio e gas in Africa di qualsiasi altra azienda».
Thandile Chinyavanhu, capo della campagna di Greenpeace Africa, usa parole ancora più sdegnate: «Total sta trasformando la CAN, una celebrazione dell’unità africana, in una grottesca operazione di greenwashing. È ora di cacciare Total Energies dai nostri stadi», ha dichiarato al quotidiano francese Le Monde.
Nel mirino anche la sposorizzazione dei mondiali di rugby
Recentemente, peraltro, la filiale francese di Greenpeace si è mobilitata contro la sponsorizzazione da parte di Total della Coppa del Mondo di rugby, riuscendo a far oscurare il nome della compagnia petrolifera in molte fan zone delle diverse città ospitanti. «Questa sponsorizzazione è tanto più indecente in quanto il continente africano è in prima linea di fronte agli effetti devastanti del cambiamento climatico, di cui l’industria dei combustibili fossili ha una responsabilità molto importante», tuona Edina Ifticène, responsabile della campagna Energia Fossile di Greenpeace Francia.
Total Energies, radicata in Africa da quasi 100 anni e che produce circa il 30% degli idrocarburi del continente, è una presenza che non passa inosservata, se si pensa ai circa 10 mila dipendenti dispiegati in oltre quaranta paesi africani.
Una partnership firmata nel 2016
La stretta di mano con la CAF, avvenuta nel luglio del 2016, ne è stata la naturale conseguenza. Quel giorno, siglando una partnership di otto anni, la multinazionale francese è diventata title sponsor non solo della Coppa d’Africa, ma di tutte le competizioni internazionali targate CAF, tra cui Champions League, Supercoppa e Coppa d’Africa femminile, garantendosi la visibilità su un monte di oltre 1.500 partite. «Siamo molto felici di diventare partner di CAF, perché l’Africa è parte integrante del dna di Total», raccontava soddisfatto Patrick Pouyanné, presidente e ceo di Total Energies subito dopo la firma degli accordi.
Gli faceva eco Issa Hayatou, l’allora presidente della Confederazione africana di calcio: «Questa partnership rappresenta un traguardo importante raggiunto nella nostra continua ricerca di risorse aggiuntive in grado di consentire al calcio africano di accelerare il proprio sviluppo, di modernizzarsi migliorando la governance, le infrastrutture sportive e la sua performance su scala globale», rifletteva il numero uno della CAF per quasi tre decadi, dal 1988 al 2017. «Total, in quanto multinazionale tra i leader nel suo settore di attività, con un forte legame con il continente africano, contribuirà notevolmente al desiderio di CAF di lavorare costantemente per lo sviluppo della gioventù africana».
Naturalmente la multinazionale francese, bersagliata da queste critiche anche nella scorsa edizione della Coppa d’Africa, ha alzato lo scudo, professandosi innocente: «È falso che stiamo usando il greenwashing per ripulire la nostra immagine», si è difesa ufficialmente Total Energies. «Il nostro unico desiderio è pubblicizzare la dimensione multienergetica delle nostre attività. La nostra ambizione è quella di essere un attore importante nella transizione energetica, impegnato a raggiungere la neutralità del carbonio nel 2050».
In realtà, come fatto notare Reporterre – un media francese indipendente specializzato sui temi ecologici – nei programmi di Total Energies c’è un aumento della produzione di idrocarburi del 2-3% all’anno entro il 2028.
Insomma, risulta piuttosto difficile credere alla difesa d’ufficio della compagnia petrolifera francese.