Per la prima volta dal 2015 non ci sarà nessuna matricola ai nastri di partenza, ma i motivi di interesse per seguire la trentaquattresima edizione della Coppa d’Africa, in programma dal 13 gennaio all’11 febbraio, comunque non mancano.
Così come quella di due anni fa in Camerun, anche questa edizione, programmata inizialmente tra giugno e luglio, si giocherà invece nell’inverno boreale. La decisione definitiva è arrivata lo scorso luglio, a margine di una riunione dell’esecutivo CAF, tenutasi a Rabat nell’immediata vigilia della Coppa d’Africa femminile.
La marcia indietro della CAF è stata dettata da una previsione sulle condizioni meteorologiche. In quel periodo, infatti, la Costa d’Avorio si trova nel cuore della stagione delle piogge. «Non abbiamo voluto correre il rischio di giocare il torneo sotto un diluvio. Non sarebbe un bello spot per l’immagine del calcio africano», ha dichiarato Patrice Motsepe, il presidente del governo calcistico del continente.
Una scelta fatta anche per tutelare lo spettacolo, oltre che l’incolumità dei protagonisti, ma poco gradita ai top team europei, sempre piuttosto recalcitranti a lasciare partire i propri tesserati nel momento topico della stagione.
In Costa d’Avorio, infatti, saranno ben 142 i giocatori provenienti dalle top 5 leghe europee, il cosiddetto Big 5, ovvero Ligue 1 francese, Liga spagnola, Bundesliga tedesca, Premier League inglese e la nostra Serie A.
Dalla Francia, come da tradizione, partirà il contingente più robusto, ben 59 giocatori – con il Marsiglia squadra più rappresentata (7) – che diventano 89 se si considerano anche le serie minori come Ligue 2 e National, l’equivalente delle nostre Serie B e Lega Pro. Ovvero quasi il 14% del totale dell’intero roster del torneo (642). Un giocatore su sette, insomma, arriverà dall’Esagono.
Il Senegal, campione in carica, sarà la squadra più rifornita dai Big 5, con ben 18 calciatori provenienti dai campionati più prestigiosi e competitivi del mondo. Non a caso i Leoni della Teranga, che in Costa d’Avorio proveranno a difendere la corona conquistata 2 anni fa in Camerun, scattano dalla pole position.
Anche se il cammino, almeno all’inizio, non sembra essere dei più morbidi. Inseriti nel gruppo C, già etichettato come girone della morte, i senegalesi affronteranno Camerun, Guinea e il Gambia, rivelazione dell’ultima edizione, capace di spingersi sino ai quarti di finale.
Quella con i Leoni Indomabili, che hanno lasciato a casa un’icona come Choupo-Moting e avranno Onana solo a partire dal giorno del debutto con la Guinea, sarà una delle sfide più accattivanti della prima fase.
Così come quella tra Costa d’Avorio e Nigeria, i due colossi del gruppo A, nel quale Guinea Equatoriale e Guinea Bissau sembrano destinate a recitare il ruolo delle comparse. I padroni di casa, allenati dal francese Jean-Lois Gasset, hanno saputo ricostruire dalla ceneri della gold generation, campione nel 2015, e si presentano come una delle candidate più credibili alla vittoria finale.
Le carte in regola, del resto, ci sono tutte. La rosa, in cui brillano giocatori come Ousmane Diomande (Sporting Lisbona) e Odilon Kossonou (Bayer Leverkusen), l’ex Milan Kessié e Sebastien Haller, centravanti del Borussia Dortmund, sembra ben attrezzata e competitiva in tutti i settori.
Le Super Aquile, invece, dovranno rinunciare a Victor Boniface, il bomber dello scintillante Bayer Leverkusen di Xabi Alonso, infortunatosi negli ultimi giorni. Ma non è un problema: José Peseiro, il ct portoghese, lo ha già sostituito con un attaccante del calibro di Terem Moffi.
Il parco attaccanti della Nigeria, guidato dalla stella Victor Osimhen, Pallone d’Oro africano in carica e capocannoniere delle qualificazioni con 10 reti all’attivo, si sa, è uno dei più abbondanti e variegati a livello mondiale. I problemi, semmai, sono dalla cintola in giù, specie tra i pali, dove Peseiro non ha ancora definitivamente sciolto il ballottaggio tra Uzoho e Ojo, l’unico convocato del campionato locale.
Dalla primissima fila è pronto a scattare anche il Marocco. I Leoni dell’Atlante non alzano la Coppa d’Africa dal 1976, ma mai come quest’anno hanno lo status per poter ambire a rinverdire i fasti del passato e rompere lo storico digiuno. La selezione allenata da Regragui, che un anno fa scriveva la storia in Qatar, diventando la prima, storica nazionale africana a raggiungere una semifinale, è anche quella africana con il ranking FIFA più alto.
L’Africa negli allenatori
Appena dietro ci sono Algeria ed Egitto. Dopo il trionfo del 2019, le Volpi del Deserto di Mahrez hanno cambiato pelle, ma non timoniere, Djamel Belmadi, una certezza nel continente.
L’allenatore algerino, uno che non ama troppo i giri di parole (ne sanno qualcosa Milan e Rennes per le vicende legate a Bennacer e Gouiri) e non si fa troppi problemi a prendere decisioni divisive (il ritorno di Belaïli), è uno dei 13 coach africani che siederanno sulle panchine della Coppa d’Africa. Più della metà dell’intero pool.
Segnale di una netta inversione di rotta. È un po’ la fine del mito dello “stregone bianco”, così come sono giornalisticamente ribattezzati gli allenatori europei che lavorano in Africa. Nonostante la netta inversione di tendenza rispetto al passato, dovuta anche ai successi ottenuti dall’emergere prepotente di una nuova, interessante scuola di allenatori africani, l’esercito degli stregoni bianchi continua comunque a sopravvivere.
Oltre ai francesi (4), che come al solito sono i più numerosi, ci sono anche 2 belgi, 1 israeliano e addirittura 3 portoghesi. Uno di loro, Rui Vitoria, è il commissario tecnico dell’Egitto, atterrato al Cairo con l’obiettivo di rinverdire i fasti dei Faraoni, la nazionale più titolata della storia della manifestazione (7 allori), ma a secco dal 2010.
Guidati dalla luce della stella di Mohamed Salah, totem al vertice di una solida e affiatata intelaiatura forgiata quasi per intero dal campionato locale (19/27 giocatori militano in squadre della lega egiziana), i Faraoni restano per chiunque un avversario con cui fare i conti.
Anche se l’ultimo successo risale a 14 anni fa, arrivato a sublimazione di una trilogia di trionfi forse irripetibile, nelle ultime 3 edizioni l’Egitto ha raggiunto 2 volte la finale, sconfitto sul più bello da Camerun (2017) e Senegal (2022, anche se teoricamente l’edizione era datata 2021).
Tra le possibili outsider occhio al Ghana di Mohanmed Kudus, stellina del West Ham arrivata quest’estate in Premier League dopo essere esplosa nella passata stagione con l’Ajax, ma soprattutto il Mali. Le Aquile di Bamako dovranno fare i conti con le assenze di due pilastri come l’attaccante Ibrahima Kone e il centrocampista Cheick Doukore, ma hanno il capitale umano necessario, e il giusto mix tra gioventù ed esperienza, per fare parecchia strada nella competizione.
Una rosa ben assemblata, in cui spiccano giocatori in rampa di lancio come Nene Dorgeles (RB Salisburgo) e Kamory Doumbia (Brest), e altri già affermati ad alto livello in Europa come Yves Bissouma (Tottenham) e Ahmadou Haidara (RB Lipsia) – peraltro tutti sfornati dalla JMG Academy di Bamako – autorizza a sognare in grande.
Una menzione, infine, la merita anche la Tunisia, l’unica nazionale presente nelle ultime 16 edizioni del torneo.
Le Aquile di Cartagine, rimaste orfane del totem Wahbi Khazri (ritiratosi dalla nazionale dopo l’ultimo Mondiale) e prive dell’astro nascente Hannibal Mejbri (rimasto in Inghilterra per tentare di scalare le gerarchie con il Manchester United), partono sempre a fari spenti, ma poi, puntualmente, accedono alle fasi più calde del torneo: dal 2015 in poi, infatti, la Tunisia ha sempre raggiunto almeno i quarti di finale, con il climax del quarto posto conquistato nel 2019.
Insomma, guai a sottovalutare i tunisini, specie se a guidarli c’è un’icona vivente come Youssef Msakni, alla sua ottava Coppa d’Africa.