Il rischio, con le nuove mafie d’origine straniere presenti in Italia, è ripetere l’errore che gli americani fecero con Cosa nostra: ritenere che fosse un’organizzazione criminale importata dagli immigrati, che niente avesse a che vedere con il tessuto economico e sociale autoctono. Cosa loro, non cosa nostra. Un ritardo di comprensione che compromise per diverso tempo le indagini statunitensi, depistandole.
Per questo, il criminologo Andrea Di Nicola e il giornalista Giampaolo Musumeci, sin dall’inizio del libro, citano uno dei processi più importanti in campo internazionale, quello che permise di arrestare i capi più illustri delle famiglie mafiose newyorchesi: il Mafia Commission Trial, un processo degli anni ‘85/86, che consentì di cambiare lo sguardo e il modo di indagare dell’Fbi.
La mafia negli Usa non era esclusivamente un’impresa criminale italiana infiltrata nel mondo virtuoso americano, ma una Commissione, radicata nel tessuto socioeconomico degli stati federali, basata su una rete fitta di relazioni che niente aveva a che fare con le etnie, molto con le forze di mercato e i business illegali.
Chiarita la chiave di lettura, messi insieme testimonianze e atti processuali, incontri e cronache di giornale, emerge tutta una serie di somiglianze tra le mafie nostrane e quelle nigeriane, quelle dell’est dedite al contrabbando delle sigarette e la camorra che dominava i mercati delle “bionde” nel sud Italia. Così, pagina dopo pagina, si dipana ogni dubbio sugli intrecci che hanno permesso un radicamento delle attività criminali organizzate nel nostro paese.
Il capitolo più disarmante è quello che riguarda i cult nigeriani: riti di iniziazione, formule di accettazione, comandamenti cui riferirsi per essere dei veri capi o semplici soldati, appaiono scritti come se ci fossero sotto dei fogli di carta carbone, sono praticamente identici a quelli della mafia made in Italy.
I capi del cult Maphite, nello stato di Edo, al sud della Nigeria, si riferiscono a una “Bibbia verde”, dove sono raggruppate leggi e liturgie, in cui vengono riportati i 10 comandamenti e la struttura piramidale e verticistica dell’organizzazione. E se i capi rimangono in Nigeria, da dove impartiscono ordini, i 5 cult in Italia arrivano a ritagliarsi ruoli ben definiti nel mondo del narcotraffico, della prostituzione, del traffico di esseri umani, con articolazioni presenti in quasi tutte le regioni italiane.
Ogni realtà straniera criminale si è inserita nell’ambito che gli era più congeniale, utilizzando i mezzi che più gli sono consoni: le navi da Tangeri a Genova, per le finte famiglie marocchine che trafficano hashish, di cui il paese è primo produttore al mondo; i camper via terra o i gommoni via mare per la mafia albanese, che ha trasformato il mar Adriatico in una vera e propria autostrada per il traffico della droga. Un via vai che non ha conosciuto sosta, nonostante la pandemia.
Di più, il Covid-19 e la conseguente crisi economica, che hanno messo in ginocchio le realtà più fragili, hanno aperto nuove possibilità di investimento per le realtà criminali. La mancanza di liquidità ha esposto molti commercianti a rischio di usura. È sufficiente andare su internet per notare come le offerte predatorie si susseguano.
Il rischio di infiltrazioni nei settori turistici è palpabile. Diverse realtà arrivate allo stremo, dopo oltre un anno di chiusure e mancati guadagni, passano la mano. Si aprono altri fronti di indagine. L’ultima in ordine di tempo è legata al dark web, dove corre il business dei vaccini contraffatti.