La scomparsa lo scorso 21 ottobre del predicatore turco Fethullah Gülen, fondatore dell’organizzazione Hizmet e nemico giurato del presidente Recep Tayyip Erdogan, apre nuovi scenari per la politica internazionale della Turchia, anche nel continente africano.
Gülen è deceduto all’età di 83 anni. Da tempo era gravemente malato, sottoposto a cure per insufficienza cardiaca e renale in una struttura in Pennsylvania, dove si era autoesiliato da anni per sfuggire alle purghe di Erdogan.
Dal golpe fallito in Turchia del 15 luglio 2016 lui e i suoi fedelissimi erano finiti in cima alla black list del governo turco, accusati di essere a capo dell’organizzazione terroristica FETÖ (Fethullah Gülen Terrorist Organization).
Da quell’estate decine di migliaia di persone legate direttamente o ideologicamente al predicatore hanno lasciato la Turchia. Molte sono espatriate negli Stati Uniti o in Germania, alcune anche in paesi africani.
Gülen-Erdogan, dall’alleanza alla rottura
Gülen è stato tra gli alleati della prima ora di Erdogan e del suo partito AKP (Partito della giustizia e dello sviluppo). Ma tra il 2007 e il 2013, l’alleanza tra i due si è gradualmente incrinata.
Gülen è stato prima sospettato di aver orchestrato gli scandali per tangenti e corruzione che hanno interessato uomini vicini a Erdogan e suoi famigliari. Poi, a seguito del tentato colpo di stato del 2016, è stato accusato di esserne il regista.
Dopo la rottura definitiva tra lui ed Erdogan, l’organizzazione Hizmet, che in turco significa “il servizio” e che Gülen aveva fondato negli anni Sessanta, è stata classificata come fuorilegge e FETÖ, quello che secondo il governo turco sarebbe il suo braccio armato, bandito come organizzazione terroristica.
Dal 2016 decine di università, scuole, centri culturali e organi di informazione legati a Hizmet in tutto il mondo sono stati chiusi.
È accaduto anche in 25 paesi africani, dove queste realtà sono finite sotto il controllo della Maarif Foundation, fondazione governativa legata al ministero dell’Istruzione turco creata ad hoc da Erdogan per cancellare ogni traccia dell’eredità gulenista in ambito educativo, culturale ed economico. Nonostante il repulisti capillare, ad oggi Hizmet riesce ancora a operare in circa 60 paesi nel mondo.
Hizmet in Africa
Una mappatura dettagliata dell’influenza di Hizmet in Africa è riportata in un articolo firmato da Federico Donelli, politologo e professore in Relazioni Internazionali al dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Trieste, dal titolo The Gülen Movement in Africa: From Turkish Transnational Asset to Anti-State Lobby, pubblicato su Israel Journal of Foreign Affairs nel 2019.
Il movimento di Gülen ha iniziato a operare nel continente a metà degli anni Novanta, ai tempi della breve parentesi di governo del Partito del Benessere, formazione di ispirazione islamista guidata dal primo ministro Necmettin Erbakan.
Da allora, seguendo la stessa strategia applicata nei Balcani, in Europa e Asia centrale, anche in Africa Hizmet ha iniziato ad aprire centri di dialogo interreligioso in città chiave, stringendo rapporti in particolare con le locali comunità cattoliche e anglicane.
Le aree di azione del movimento sono sempre state sostanzialmente quattro: istruzione, affari, aiuti umanitari e media. Le prime scuole guleniste in Africa sono state aperte a Tangeri, in Marocco, nel 1994. Successivamente altre ne sono state inaugurate in Senegal, Kenya, Tanzania e Nigeria.
Gli istituti primari sono arrivati a essere oltre cento e ad Abuja è stata aperta anche un’università. Istituti formativi sono stati avviati anche in paesi con minoranze musulmane contenute, come il Sudafrica e l’Angola. Le scuole di Hizmet sono state organizzate per formare la nuova classe medio-alta delle società africane, con programmi formativi in linea con gli standard occidentali.
Al fianco di queste scuole in Africa è cresciuta di pari passo l’attività di organizzazioni con scopi umanitari legate al movimento. Al centro di questo “asset” di Hizmet c’era la Kimse Yok Mu (KYM), fondata nel 2002 e intervenuta in particolare nel 2011 in soccorso della Somalia colpita quell’anno da una gravissima carestia.
Negli anni KYM ha operato anche in altri paesi africani, tra cui Sudan, Uganda, Etiopia e Kenya, dove ha contribuito alla costruzione di ospedali, orfanotrofi, mense e dormitori.
Il braccio imprenditoriale e lobbista di Hizmet si chiamava invece TUSKON (Turkish Confederation of Businessmen and Industrialists), organizzazione impegnata fino al tentato golpe del 2016 nella promozione del commercio e degli investimenti turchi all’estero.
A fare da megafono alle attività del movimento gulenista è stato per anni un network mediatico che Hizmet aveva inizialmente creato e sviluppato in Turchia e New Jersey per poi allargarlo ad altre regioni attraverso la fondazione o acquisizione di giornali, tv ed emittenti radiofoniche.
Nel 2012 è stata aperta Ebru Africa TV che trasmetteva in inglese dal Kenya. Nel 2014 è stata la volta di Hira TV, in arabo. Tra i giornali e le riviste più letti nel continente c’erano Zaman in turco e Zaman Today in inglese, ma anche The Fountain (in inglese), Hira (arabo) ed Ebru Magazine (francese).
Il dopo golpe del 2016
Dopo il golpe del 2016 la rete internazionale gulenista è stata progressivamente smantellata anche in Africa. Sul piano diplomatico ciò si è tradotto nel diktat impartito ai leader africani di far cessare nei rispettivi paesi ogni attività legata a Hizmet e accettarne la sostituzione con nuove organizzazioni imposte dal governo turco.
Se in campo formativo il pallino è passato nelle mani della Maarif Foundation, in quello economico diversi imprenditori sostenitori di Gülen sono comunque riusciti a rimanere a galla riproponendosi in associazioni indipendenti formalmente non connesse a Hizmet, come la South African Turkish Business Association, l’Association of Businessmen and Investors of Nigeria and Turkey o l’Ethiopia-Turkish Entrepreneur Association.
Di fatto, però, da anni ormai di Hizmet in Africa non rimane quasi più nulla rispetto alle origini della sua penetrazione nel continente, come conferma a Nigrizia Federico Donelli. «Già prima della morte di Gülen si registrava un malessere interno all’organizzazione, tanto sulla gestione delle sue risorse economiche quanto su quello che sarebbe stato il suo lascito», commenta Donelli.
«Era in atto una frattura tra la cerchia vicina da tempo a Gülen, rappresentata in particolare da Mustafa Ozcan e Cevdet Turkyolu, e una nuova corrente guidata da suo nipote Ebuseleme Gülen, il quale ha criticato la vecchia cerchia accusandola di puntare solo a spartirsi le risorse economiche dell’organizzazione».
«Negli ultimi due, tre anni – prosegue Donelli – l’influenza di Gülen in Africa si era già ridotta drasticamente. Il governo turco ha fatto leva sul settore della difesa e sull’export di armi per convincere anche gli ultimi governi africani abbastanza restii, a chiudere scuole e organizzazioni culturali riconducibili a Gülen e ad aprire alla Marif Foundation».
Dell’esperienza gulenista in Africa resta di certo il fatto di aver formato negli istituti di Hizmet migliaia di figli di politici, funzionari pubblici e burocrati africani, il che ha permesso all’organizzazione di plasmare una parte consistente di quella che oggi è l’attuale classe politica e dirigente di molti paesi del continente.
«Ci sono élite africane che hanno frequentato le scuole guleniste», conferma Donelli. «Queste scuole, d’altronde, sono state il primo contatto tra l’Africa e il mondo turco. Ma ormai da tempo il governo turco ha capitalizzato anche questa dinamica. Di fatto del messaggio di Gulen resta dunque poco in Africa così come in Turchia. Rimangono le sue ricchezze che hanno però un valore in quei contesti in cui il movimento è ancora forte, come negli Stati Uniti».
«Quello legato a Gülen e Hizmet in Africa – conclude Donelli – era diventato semmai più un discorso di narrazione politica interna usato dal governo turco, un modo per dire che anche l’Africa rappresentava un terreno di scontro per sconfiggere i gulenisti e l’organizzazione FETÖ».
Arresti e rimpatri forzati
In sordina proseguono intanto arresti e rimpatri forzati di persone accusate di essere ancora legate a Gülen. Il 18 ottobre in Kenya sette richiedenti asilo turchi, sospettati di essere membri del movimento gulenista, sono stati arrestati a Nairobi, come denunciato da Amnesty International Kenya. Di questi, quattro sono stati rimpatriati in Turchia.
Si tratta di Mustafa Genc, direttore esecutivo di Harmony Institute, Ozturk Uzun, membro dello staff di Light Group of School, Alparslan Tasci, in Kenya da sette anni per contribuire a opere caritatevoli, e Huseyin Yesilsu, impegnato nel campo dell’istruzione. Il cerchio attorno agli ultimi gulenisti ancora in circolazione si stringe sempre di più.