È un momento delicato per il commercio equo-solidale del cacao che si avvale di accordi con il maggiore produttore al mondo di questo prodotto. Un prodotto sempre richiesto ma i cui costi sono arrivati alle stelle.
Stiamo parlando della Costa d’Avorio, paese che produce circa 2,2 milioni di tonnellate all’anno di cacao ed è uno dei principali paesi esportatori del prodotto verso l’Europa.
Tre settimane fa l’autorità di regolamentazione in materia, il Conseil du Café-Cacao (CCC) ha comunicato la decisione di sospendere il suo programma con il marchio Fairtrade Africa. Decisione nata dal sospetto di una frode. È stato infatti avanzato il dubbio che siano stati messi in circolazione semi non certificati.
Se fosse così sarebbe davvero un duro colpo per la credibilità del commercio equo e solidale, diventato sempre più popolare tra i consumatori che richiedono cacao (ed altri prodotti) di provenienza etica.
Va detto che, a diversi giorni dall’annuncio del CCC, sul sito di Faitrade è stata pubblicata una nota (non congiunta) con cui si comunica la “revoca incondizionata” da parte del CCC della sospensione temporanea delle fave del commercio equo-solidale. Questo significa, sottolinea la nota, “che le cooperative certificate in Costa d’Avorio possono vendere le fave del commercio equo e solidale e gli esportatori possono acquistarle”. Tutto rientrato dunque?
La sospensione sarebbe stata motivata da un volume insolitamente elevato di fave di cacao Fairtrade messe in circolazione nell’ambito del programma con il CCC. Da qui la necessità di verifica per garantire che non ci fossero dubbi sulla provenienza delle fave, e che questa provenienza e immissione sul mercato avvenisse secondo gli standard di eticità che appunto deve caratterizzare tale tipo di commercio.
Sembrerebbe quindi che non ci sia stata contaminazione o immissione di semi di provenienza non tracciabile ma attendiamo di conoscere gli eventuali sviluppi.
Produzione in calo, ma cresce la domanda
Quel che è certo è che il commercio del cacao sta subendo importanti ripercussioni dovute alla carenza della materia prima – causata anche da questioni climatiche – che, conseguentemente, ne fanno aumentare i costi di produzione, esportazione e manifattura.
Elementi che giocano in misura notevole sull’incremento del prezzo del prodotto finale. Pensiamo solo che come effetto dei fenomeni ambientali legati al Niño, tra cui alcune malattie delle piante, il Ghana – secondo esportatore al mondo dopo la Costa d’Avorio – ha perso oltre 500mila ettari di aziende che producevano fave di cacao.
Altro fattore che sta contribuendo alla riduzione dei volumi di fave di cacao (soprattutto nei due paesi dell’Africa occidentale che ne sono i maggiori produttori) è quello umano. L’estrazione mineraria illegale che ha colpito numerose aziende agricole del Ghana, ad esempio.
Capita che gli agricoltori diano in affitto la loro terra a minatori illegali e l’attività di sfruttamento minerario degrada la qualità del terreno, rendendolo inadatto alla coltivazione della pianta di cacao. E poi bisogna fare i conti con le perdite derivate dal contrabbando di cacao verso paesi limitrofi. Situazione con cui si è trovata spesso a fare i conti la Costa d’Avorio.
Infine c’è un altro forte elemento di impatto alla carenza della materia prima e al conseguente aumento dei prezzi, vale a dire la riduzione della lavorazione locale. Le principali sedi di lavorazione in Costa d’Avorio e Ghana hanno cessato le attività o ridotto la loro capacità di lavorazione perché non possono permettersi di acquistare le fave. Fatto questo che non solo incide sull’aumento del cacao e dei suoi prodotti ma sulle economie locali.
Ma nonostante crisi e difficoltà i consumatori sembrano aumentare. Il mercato globale del cioccolato e dei prodotti a base di cacao si prevede che nei prossimi anni crescerà del 4% annuo. Un aumento della domanda che sottolinea l’urgenza di affrontare le questioni relative alla sostenibilità del settore.
Ma torniamo alla questione frodi sui sistemi di certificazione etica. A dire il vero non è la prima volta che questo accade. Qualche anno fa proprio la Costa d’Avorio fu al centro di un’indagine che stabilì che gran parte del cacao proveniva da foreste protette. Un cacao coltivato illegalmente e poi commercializzato dai principali produttori di cioccolato, con procedure di certificazione fraudolente.
È anche uno dei motivi per cui oggi si cerca di procedere con accordi con un marchio ecosolidale come Fairtrade e se i dubbi sulla regolarità del sistema fossero reali, il contraccolpo sarebbe notevole. E proprio allo scopo di prevenire frodi, si sono addirittura messi a punto sistemi per testare la provenienza e autenticità del prodotto.