Alla Coppa d’Africa più imprevedibile e spettacolare della storia, con ben 118 reti segnate (record), non poteva mancare il lieto fine alla favola della Costa d’Avorio, simbolo di un’edizione in cui la parola “impossibile” non ha avuto diritto di cittadinanza.
Ad Abidjan, sotto gli occhi del presidente Alassane Ouattara, nello stadio che porta il suo nome, gli Elefanti hanno ribaltato la Nigeria, laureandosi campioni d’Africa per la terza volta nella loro storia.
Eppure le Super Aquile si erano portate in vantaggio con una rete di William Troost-Ekong, premiato come MVP del torneo, ma la Selefanto, come spesso gli è capitato in questa pazza competizione, ha risalito la corrente, prima pareggiando con Kessie e poi andandosi a prendere la corona continentale grazie ad una zampata aerea di Sebastién Haller.
Solo l’ultima puntata di un cammino, quello della Costa d’Avorio, che è stato un rollercoaster emozionale, un vero e proprio inno alla sopravvivenza, un tour dantesco iniziato nell’inferno della fase a gruppi, transitato per il purgatorio di ottavi e quarti, e arrivato al paradiso di ieri sera.
Gli ivoriani, del resto, hanno rivisto i fantasmi del 1984, l’unica, altra edizione che hanno ospitato, rischiando seriamente di venire accompagnati all’uscita già dopo la fase a gruppi.
Archiviato un esordio tutto sommato convincente, con un secco 2-0 rifilato alla Guinea-Bissau, gli Elefanti hanno ceduto il passo alla Nigeria, ma soprattutto sono stati asfaltati 0-4 dalla Guinea Equatoriale di Emilio Nsue, l’insospettabile capocannoniere della manifestazione, riuscendo a passare alla fase a eliminazione diretta in maniera miracolosa e solamente dalla porta di servizio, come una delle quattro migliori terze. Per capirci: solo il Senegal, nel 2006, era riuscito a superare il primo turno dopo aver perso due gare del girone.
Una ferita difficile da ricucire, un’onta complicata da lavare, a cui si sono aggiunte le dimissioni dell’allenatore Jean-Louis Gasset, giunte nel bel mezzo del caos, mentre fuori dagli stadi divampano le proteste, non sempre civilissime, dei tifosi.
Dopo la pazza idea Renard – il condottiero del trionfo del 2015 e attuale commissario tecnico della nazionale femminile francese – partorita e abortita nel giro di qualche ora, gli alti papaveri del calcio ivoriano hanno affidato la panchina della nazionale ad Emerse Faé, fino a quel momento vice del tecnico francese.
L’investitura di Faé aveva suscitato le perplessità di molti per via di un curriculum piuttosto sguarnito di esperienze rilevanti, ma si è rivelata la mossa azzeccata. «Voglio sottolineare il grande lavoro di Faé. Emerse conosce bene questa realtà dall’interno, essendo stato anche un calciatore. Conosce il pubblico, sa quello che vuole», ha spiegato Didier Drogba, passato dall’essere totem in campo a capo-popolo sugli spalti.
Il resto del cammino è storia destinata a diventare leggenda. Subito sotto negli ottavi con i campioni in carica del Senegal, in svantaggio di un uomo e di un gol a pochi secondi dalla sirena nel quarto di finale con il Mali, in situazioni che definire disperate sarebbe riduttivo, la Costa d’Avorio ha sempre trovato il modo di resuscitare, vincendo diverse volte alla roulette con il destino.
Nella semifinale con la Repubblica democratica del Congo, poi, ha ritrovato Sebastién Haller e il mosaico si è completato. In questo, però, vanno riconosciuti anche i meriti di Gasset, che non riceverà nessuna medaglia dopo il trionfo della Selefanto. Era stato proprio lui, infatti, a volerle fortemente con sé l’ex attaccante di West Ham e Ajax, convocandolo nonostante l’infortunio e le zero reti segnate nella prima parte di Bundesliga con la maglia del Borussia Dortmund.
«Non è stato facile ogni giorno» ha ammesso Haller. «Avevo deciso di venire in vacanza in Costa d’Avorio per prepararmi alla CAN. Dal 21 dicembre mi sto curando ogni giorno. Ho la fortuna di essere ben circondato dalla mia famiglia, dai miei amici, dai miei compagni e dall’affetto di un intero paese. Volevo assolutamente dare il mio contributo per questa Coppa d’Africa in casa».
Il gigante di Ris-Orangis, che solo un anno fa sconfiggeva un tumore ai testicoli, ha fatto tutta la differenza del mondo, diventando il volto del successo ivoriano. «Nell’ultimo anno e mezzo la vita mi ha messo di fronte a delle sfide. Ho capito che bisogna comunque sempre credere in qualcosa», ha raccontato Haller, parlando di resilienza in merito alla sua vicenda personale, ma in un modo che è impossibile non paragonare al percorso quasi mistico della Costa d’Avorio in questa Coppa d’Africa.
«Faccio tutto passo dopo passo. Cerco di sfruttare al massimo i momenti, senza mai avere rimpianti. Oggi, guardando gli ultimi mesi, dico che è fantastico essere qui a parlare di una finale della CAN. So che, però, ci vorranno mesi o addirittura anni per realizzare quanto accaduto in questa avventura».
È stato proprio Haller, infatti, a piegare la Rd Congo in semifinale, prima di ripetersi nella finalissima con la Nigeria, mettendo la firma sul terzo trionfo continentale della Costa d’Avorio. Forse il più inaspettato e rocambolesco di tutti, ma anche per questo probabilmente il più bello.