A nessuno stato africano piace ricorrere ai prestiti del Fondo Monetario Internazionale (FMI), il cui intervento ha sempre il sapore di ingerenza finanziaria e una dichiarazione di manifesta incapacità di cavarsela autonomamente. Ma l’innalzamento generale dei prezzi causato dalla guerra in Ucraina è una buona giustificazione (agli occhi dell’opinione pubblica) per il governo ivoriano. Altro fattore: le entrate fiscali del governo sono state inferiori a quanto previsto.
Tutte ragioni che hanno spinto la Costa d’Avorio a entrare in negoziazioni con il FMI a dicembre scorso. La cifra prevista per il prestito era inizialmente di 2.6 miliardi, che è poi arrivata ai 3.5 miliardi. La somma e relativo programma di accompagnamento da parte dell’istituzione finanziaria internazionale coprirà un periodo di 40 mesi.
I fondi sono destinati a rimettere in ordine il budget nazionale e a finanziare il suo Piano nazionale di sviluppo (PND) per il periodo 2021-2025.
Come condizione per il prestito, il FMI richiede una accelerazione delle riforme di settore, in particolare per quanto riguarda la fiscalità di filiere come quella del cacao, bene di cui la Costa d’Avorio è il primo produttore mondiale.