Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri. È questo il titolo del report diffuso da ActionAid e realizzato con il dipartimento di scienze politiche dell’Università di Bari.
Alla luce della crudezza dei numeri e dell’analisi dei dati che riguardano l’apparato carcerario dei Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) emerge il fallimento di «un sistema inumano e costoso, inefficace e ingovernabile, che negli anni ha ottenuto un solo risultato evidente: divenire lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 rappresentano quasi il 50% delle persone in ingresso in un CPR e quasi il 70% dei rimpatri».
Tunisini, che rappresentano il 18% delle persone arrivate via mare nel lasso di tempo esaminato dal report, frutto di 51 richieste di accesso agli atti al ministero dell’interno, prefetture e questure, e a 30 richieste di riesame.
In un tempo, quello dal 2018 al 2021, che vede succedersi governi che continuano a portare avanti e a investire su questo sistema di detenzione amministrativa. Fino a decidere di aprirne uno in ogni regione, nonostante i numeri dicano che i CPR non funzionano.
E, oltre a non funzionare, sono una spesa esorbitante a fronte di numeri limitati: «53 milioni il costo complessivo dal 2018 al 2021, con un costo medio di ciascuna struttura di un milione e mezzo l’anno, mentre il costo medio annuo di un posto è di 21 mila euro.
Di questi, quasi 15 milioni spesi per la manutenzione dei CPR, di cui oltre il 60% è stato utilizzato per interventi di manutenzione straordinaria, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti».
Il che conferma, secondo ActionAid, che il prolungamento dei tempi di trattenimento comporta solo la crescita del malessere di chi è detenuto, cui consegue un aumento delle rivolte e delle conseguenti spese di manutenzione straordinaria.
Mentre «vengono fatti tagli ai servizi di assistenza per le persone: sono 9 i minuti di assistenza legale a settimana per ospite, 9 minuti a settimana di assistenza sociale per ospite, 28 minuti a settimana per la mediazione linguistica».
Si spende per detenere, senza riconoscere alcun diritto alle persone migranti, tanto è vero che si assiste a un crescere di «atti di autolesionismo, rivolte e disordini provocati dalle condizioni di estremo disagio e privazione dei diritti basilari delle persone trattenute senza aver commesso reati, che ha portato a continui danni e distruzioni, rendendo indisponibili gran parte dei posti. Il sistema funziona, fin dal 2018, al 50% della sua capacità ufficiale».
Per tutta risposta, sapendo che il trattenimento non porta al rimpatrio, aumenta il tempo di durata massima della detenzione, oggi 18 mesi.
Se intatti il tempo di detenzione cresce, il tasso dei rimpatri continua a diminuire: dal 60% del 2014 si è passati al 49% del 2021. Rimpatri oggi chiesti a gran voce da diversi paesi europei, ma che non possono avvenire senza accordi con i paesi terzi.
E allora intanto, sull’onda della paura terrorismo, si chiudono i confini in nove stati europei: Austria, Germania, Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia, Svezia, Francia, Danimarca e Norvegia (non europea ma dentro l’area Schengen) hanno annunciato la proroga della sospensione del trattato sulla libera circolazione e il ripristino, seppure con date differenti, dei controlli ai confini nazionali.
Scelta cui si accoda l’Italia che, fino al 30 ottobre, ha deciso di chiudere il confine con la Slovenia.