La guerra in corso da 10 mesi in Sudan non sembra aver compromesso il traffico di oro, fondamentale per entrambe le parti in conflitto.
In particolare non sembrano aver avuto conseguenze su questo lucroso commercio le tensioni politiche tra l’esercito, che ancora detiene, seppur illegittimamente, il governo, e gli Emirati Arabi Uniti, accusati dai militari di fornire armi al nemico, i paramilitari Forze di supporto rapido (RSF), nonché proprio di contrabbando di oro.
Ma nonostante la crisi, culminata nel novembre 2023 con il congelamento delle relazioni diplomatiche tra le due nazioni e l’espulsione dell’ambasciatore emiratino in Sudan, le spedizioni di oro continuano a fluire liberamente verso Dubai.
A denunciarlo è il quotidiano Sudan Tribune, solitamente molto ben informato, che cita due fonti anonime proprietarie di società di esportazione di oro, le quali confermano che l’export verso il paese arabo non incontra ostacoli e avviene con l’approvazione delle autorità a Port Sudan.
Il commercio tocca cifre da capogiro. Di recente il capo dell’Unione degli esportatori e dei produttori di oro, Abdel Hakim Maamour, ha dichiarato che negli ultimi tre mesi ne sono state esportate 3,7 tonnellate. Ma ha aggiunto che la cifra reale è probabilmente molto più alta.
Il Sudan è tra i primi 10 produttori di oro al mondo e il terzo in Africa. Nel 2022 l’organismo di controllo sudanese denunciava oltre 18 tonnellate estratte, mentre per il database economico CEIC la produzione quell’anno sarebbe stata di ben 41.800 tonnellate.
Cifre altamente discordanti dovute al fatto che, già prima dello scoppio del conflitto, il 15 aprile scorso, tra il 50 e l’80% della produzione proveniva da miniere artigianali e non regolamentate, dunque illegali. Percentuali che corrispondono a quelle del prezioso metallo contrabbandato all’estero.
Un traffico, che foraggia il conflitto armato, gestito non solo dalle autorità militari al potere, ma anche dalle forze paramilitari guidate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo che con il suo clan famigliare da molti anni controlla parte delle miniere aurifere sudanesi.
Le cui risorse del sottosuolo sono in parte destinate alla Russia, operativa in Sudan grazie all’alleanza tra Dagalo e il gruppo Wagner, ora noto come Africa Corps. E anche in questo caso il commercio illecito passa per gli Emirati Arabi, dove l’oro viene “ripulito” entrando nel mercato globale.
Ed è in gran parte grazie a questi proventi che le RSF e l’esercito sono in grado di acquistare armi sempre più letali e finanziare le rispettive truppe.