Comincia con la cronaca sulla “vera Pasqua”, quella passata in isolamento a causa della pandemia e «di meditazione sulla nostra condizione umana», il nuovo libro del filosofo mozambicano Severino Ngoenha, pubblicato a maggio di quest’anno, a Maputo, dalla Fondazione Couto. Il volume, che si dipana lungo cronache dei tempi pandemici, si conclude con un’amara riflessione sul post-apartheid sudafricano, un po’ una metafora della parabola contemporanea di questo continente. Anziché garantire un futuro migliore, il nuovo Sudafrica ha favorito «una maggiore egemonia regionale del capitalismo razziale sudafricano».
In mezzo, una serie di riflessioni che Ngoenha ha compiuto, oltre che insieme al fedele Carlos Carvalho, con una serie di altri colleghi, che l’autore ha ringraziato e citato in copertina. Un lavoro individuale, ma anche collettivo, che ha riunito intorno a questa figura sempre più unica del panorama mozambicano le critiche a una società – quella del suo paese, ma in generale africana e umana tout court – “dollarocratica” e ormai priva di riferimenti etici ancora prima che politici.
L’unicità di Ngoenha non è una buona notizia per il Mozambico: si tratta, infatti, di una delle pochissime voci critiche che provano a spezzare passività e rassegnazione derivanti da un potere politico sempre più autoritario e intollerante.
Il volume (che qualche editore illuminato dovrebbe cercare di tradurre in italiano) fa parte della “seconda vita” di Severino Ngoenha. Come filosofo ha scritto vari libri che sono diventati pietre miliari della filosofia mozambicana, luso-africana e africana in generale.
Tuttavia, arrivato alla sua piena maturità come uomo e come intellettuale, Ngoenha ha sentito la necessità di “popolarizzare” la filosofia, mediante attività di divulgazione di vario tipo: incontri e eventi con il nucleo di arte di Maputo; coordinando a livello nazionale il Simposio per il dialogo interculturale e interreligioso; infine commentando sui giornali mozambicani i maggiori avvenimenti nazionali e internazionali.
Il libro è la raccolta di queste cronache, con una caratteristica fondamentale: l’ispirazione filosofica rispetto a cui Ngoenha situa le questioni dell’oggi. Fra le quali spiccano – e non poteva essere diversamente – il conflitto di Cabo Delgado e lo “scandalo” della povertà.
Nel primo caso, Ngoenha distingue fra un petro-islam e un teo-islam, che trovano nel nord del Mozambico il loro terreno di scontro, catapultando questo paese periferico dell’Africa nel centro del mondo, suo malgrado. Nel secondo, ricordando le parole del suo amico e collega Filomeno Lopes, secondo cui, se l’antico adagio pecunia non olet continua a essere vero, «la povertà ha una razza e perfino un continente». Che non è difficile immaginare quali siano…