Un impatto “disarmante” su aree di alto valore in termini di biodiversità, da parchi nazionali fra i più longevi dell’Africa alle barriere coralline dell’Oceano Indiano.
A provocarlo, come confermano nuove immagini satellitari pubblicate dal settimanale The Africa Report, rischia di essere l’East African Crude Oil Pipeline (EACOP), un’infrastruttura in costruzione fra Uganda e Tanzania che una volta completata sarà il più grande oleodotto riscaldato al mondo.
Stando alle previsioni, l’EACOP, di proprietà del colosso francese Total per più del 60%, inizierà a essere operativo a partire dal 2025.
L’infrastruttura si snoderà per gli oltre 1.440 chilometri che dividono due giacimenti di petrolio situati nella regione del bacino del lago Alberto, nell’ovest dell’Uganda, dal porto tanzaniano di Tanga, sull’Oceano Indiano.
Circa 246mila barili al giorno la capacità massima prevista per l’oleodotto, il cui progetto ha un valore complessivo di circa 3,5 miliardi di dollari.
Le rilevazioni dal satellite che rilancia The Africa Report sono state effettuate da un programma gestito dal Norway’s International Climate and Forests Initiative (NICFI), e sono state poi raccolte ed esaminate dall’iniziativa statunitense Earth Insight.
Dalle immagini si evince che tanto l’oleodotto quanto diversi degli impianti connessi, sia fra quelli in costruzione che fra quelli previsti, passano “troppo vicini” ad aree protette, come denunciato da Patience Katusiime, della ong locale Uganda’s Environment Governance Institute (Egi).
Sette degli impianti di trattamento che si stanno costruendo si trovano all’interno dei confini del Parco nazionale delle Cascate Murchison, il più grande del paese.
Due di questi, sempre secondo Katusiime, si troverebbero appunto troppo in prossimità a delle zone umide Ramsar, ovvero quelle aree “di importanza internazionale” secondo i firmatari dell’omonima convenzione del 1971, fra cui c’è anche Kampala.
«È disarmante – ha commentato l’attivista ad Africa Report – nessuna istituzione ben intenzionata dovrebbe sostenere Total nelle sue malaugurate avventure di sfruttamento del petrolio nel nostro parco nazionale».
Le foto satellitari mostrano anche le possibili rotte delle navi che dal porto di Tanga porteranno il petrolio verso i mercati internazionali.
Mangrovie, barriera corallina e anche un’area protetta sull’isola di Pemba, situata quasi 70 chilometri a largo delle costa, rischiano di subire gravi ripercussioni sul piano ambientale, come evidenziato da Richard Sekondo dell’organizzazione ambientalista tanzaniana Organization for Community Engagement (OCE).
Il dramma si allarga ulteriormente se si pensa che lo scorso maggio la Repubblica democratica del Congo ha reso nota l’intenzione di servirsi di EACOP per esportare il suo greggio nel corso di un incontro fra i ministri dell’Energia di Kampala e di Kinshasa.
Uno scenario questo, a cui i due governi stanno già lavorando e che mette a rischio anche il parco congolese di Virunga, il più antico del continente.
A causa del progetto dell’oleodotto circa 100mila persone saranno costrette a lasciare la loro terra. Secondo un recente report di Human rights watch (HRW), il processo di definizione delle compensazioni e i reinsediamenti sono stati segnati da mancanza di trasparenza, ritardi e inadeguatezze.
Alla luce delle accuse emerse negli anni diverse banche hanno deciso di non finanziare il lavoro dell’EACOP. Fra queste anche l’italiana Unicredit e l’African Development Bank (Afdb).