Cento anni dalla nascita di quell’uomo di pace e non violenza che fu Danilo Dolci. A lui è dedicato questo insieme di pagine che si compone di una breve biografia, ricordi, un’intervista e alcuni suoi scritti. Una vita costellata da incontri, con i braccianti e i pescatori, ma soprattutto con la fame della povera gente che ne muore. Una fame che diventa un digiuno, per lui che ancora non conosce la figura di Gandhi, ma che comprende la potenza della denuncia che arriva da un gesto di privazione volontario.
La fame, capace di diventare “lievito che muove la gente” e di spaventare quel potere a cui la fame è ignota, tanto quanto questo gesto rivoluzionario. Dolci, obiettore in tempo di seconda guerra mondiale, all’obiezione aggiunge l’azione di coscienza, quella che deve opporsi ma produrre alternativa: “dire no e inventare un sì”.
I suoi scritti riescono a far emergere un’Italia misera, ancora poco raccontata, dove nasce l’idea dello “sciopero al rovescio” secondo cui per un operaio che si astiene dal lavoro per protesta, un disoccupato per protesta può scioperare lavorando. Un modo per far partecipare tutte le persone alla reclamazione di un diritto, a esser parte di una rivendicazione di giustizia sociale che non separa ma unisce.
Un’utopia per alcune persone, concreta per Dolci, la cui domanda, davanti a un’utopia, non era se fosse o meno difficile da raggiungere, ma piuttosto se fosse più o meno necessaria. Perché, «quando una cosa è necessaria, magari occorreranno molta fatica e molto tempo, ma sarà realizzata».