Non succede tutti i giorni. Ma questa volta la Corte internazionale di giustizia (Cig) ha battuto un bel colpo: mercoledì 9 febbraio ha fissato a 325 milioni di dollari il montante delle riparazioni che Kampala deve versare a Kinshasa per gli anni di guerra (1998-2003, la Seconda guerra del Congo) che hanno visto l’Uganda invadere l’est della Repubblica democratica del Congo (Rd Congo) per unirsi alle forze contro Laurent-Désiré Kabila (padre di Joseph).
Vero che la somma fissata dalla Cig, la più alta giurisdizione dell’Onu con sede all’Aia (Olanda), è molto lontana da quegli 11 miliardi che la Rd Congo reclamava in quella che è stata una lunga battaglia giuridica. Ma l’Uganda considerava “esorbitante” quel montante. I giudici della Corte hanno ritenuto che Kinshasa non avesse portato prove sufficienti per sostenere la diretta responsabilità del suo vicino nei più di 15mila dei numerosissimi morti di un conflitto tra i più sanguinosi al mondo, dopo la Seconda guerra mondiale.
La giudice presidente della Corte, l’americana Joan Donoghue, ha precisato che i 325 milioni di dollari americani devono essere così suddivisi: 225 milioni di dollari per perdite in vite umane, 40 milioni per la distruzione di beni e 60 milioni di dollari per riparare il saccheggio delle risorse naturali come oro, coltan, diamanti e legno pregiato.
Non sarà facile per la Rd Congo distribuire in maniera equa ed effettiva i fondi per le riparazioni dovute alle vittime. I giudici della Corte, da parte loro, hanno voluto assicurarsene stabilendo un dispositivo perché ciò avvenga. E ricordato che la Rd Congo si era impegnata, durante le udienze, a creare un fondo per le vittime della guerra.
Civili uccisi
Kinshasa aveva introdotto il caso per la prima volta in tribunale già nel 1999. E nel 2005 la Cig aveva stabilito che l’Uganda doveva pagare dei risarcimenti per aver invaso il Congo (in una guerra terminata nel 2003). Quella guerra che aveva visto 9 paesi africani intervenire in Rd Congo, aveva devastato il paese, provocato centinaia di migliaia di morti e milioni di sfollati. La sentenza del 2005 diceva inoltre che l’Uganda aveva violato il diritto internazionale occupando l’Ituri, provincia congolese orientale, con le proprie truppe e sostenendo altri gruppi armati.
Le due parti avrebbero dovuto, secondo la Corte, intendersi sui risarcimenti. Ma non arrivando a un accordo, le parti in causa erano ritornate alla Corte nel 2015 – con la Rd Congo che accusava l’Uganda di atti di “barbarie” durante l’occupazione, durata cinque anni, del suo territorio ‒ e, dopo sette anni, ecco il verdetto, con sentenza definitiva. Che prevede anche che l’importo dovrà essere pagato in rate annuali di 65 milioni di dollari, con scadenza a settembre di ogni anno (dal 2022 al 2026).
La Cig dice anche che se l’Uganda ritarderà nei versamenti, matureranno interessi di mora del 6%! Ci sarà un organismo di implementazione della sentenza, ma il problema è che la Corte, creata nel 1946 per regolare eventuali litigi tra stati, non ha alcun mezzo di farla rispettare.
La giudice presidente della Corte ha anche affermato che «le prove portate dalla Rd Congo non erano sufficienti per stabilire la responsabilità dell’Uganda nella morte di 180mila civili. La Corte – aveva aggiunto ‒ ritiene che le prove che gli sono state presentate suggeriscono un numero di morti per i quali l’Uganda deve delle riparazioni che si situa tra le 10mila e le 15mila persone».
I giudici della Corte hanno precisato di aver incontrato grosse difficoltà a trovare prove dettagliate, a più di 20 anni dal conflitto, per tante morti. Si sono in particolare fondati sul Rapporto Mapping dell’Onu. Quel rapporto, già 12 anni fa, aveva richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica sulle razzie e violenze che avevano devastato alcune regioni della Rd Congo, identificandone i responsabili.
Il Rwanda si chiama fuori
I congolesi dell’Ituri possono da una parte considerarsi soddisfatti della condanna dell’Uganda, ma denunciano la pochezza del montante di 325 milioni di dollari se si tiene conto delle devastazioni provocate dai soldati ugandesi negli anni della loro occupazione. A Bunia, nell’Ituri, particolarmente straziata dall’invasione ugandese, nessuno ha dimenticato i beni depredati e le donne stuprate dai soldati ugandesi, e si considera sacrosanto diritto la ricostruzione dei beni distrutti.
L’Uganda, da parte sua, ha reagito alla sentenza della Cig definendola «ingiusta e sbagliata», come ha affermato il ministro ugandese degli esteri. Soprattutto che la sentenza interviene, ha detto, in un tempo in cui «i due paesi intensificano le loro relazioni» e lavorano insieme per la sicurezza, le infrastrutture e l’integrazione economica regionale.
L’esercito ugandese, nel frattempo, è di ritorno nell’est della Rd Congo, nelle province dell’Ituri e del Nord Kivu, dove è impegnato in una offensiva congiunta con l’esercito di Kinshasa contro le milizie ugandesi delle Forze democratiche alleate (Adf, nell’acronimo inglese) presentate dall’organizzazione jihadista gruppo Stato islamico come la sua “filiale” in Africa centrale.
Da notare, infine, che la Rd Congo aveva denunciato alla Cig un altro attore della Seconda guerra congolese, il Rwanda. Ma la Corte non ha potuto farci nulla perché il Rwanda non riconosce la competenza della Corte nella questione. Inoltre Kigali ritiene inammissibile la richiesta del suo vicino. E così, già nel 2006, la Corte si era dichiarata “incompetente” nel litigio tra i due vicini.