Il dodo, l’uccello simbolo delle isole Maurizio, si è estinto molti anni fa, ma in qualche modo ha trovato la maniera di sopravvivere attraverso il calcio. Si, perché è questo il soprannome della nazionale di calcio mauriziana, conosciuta anche come “Club M”, attualmente posizionata alla posizione numero centosettantadue del ranking FIFA.
Insomma, molto indietro, considerando che le nazionali riconosciute dal massimo organismo del calcio mondiale sono in tutto duecentodieci. Eppure c’è stato un momento in cui i Dodos hanno volato alto nei cieli d’Africa. È successo nel 1974 quando, per la prima e finora unica volta nella sua storia, la selezione mauriziana ha preso parte alla fase finale della Coppa d’Africa.
A quella competizione, ospitata dall’Egitto, il Club M ci era arrivato dopo aver superato un doppio turno preliminare: le Maurizio avevano battuto prima il Lesotho, senza alcun patema particolare (5-1 aggregato), e poi la Tanzania, piegata solo ai calci di rigori dopo il doppio pari maturato nelle gare di andata e ritorno (1-1; 0-0). Un qualcosa di impensabile per un arcipelago abitato all’epoca da meno di un milione di persone e diventato indipendente solamente nel 1968, ovvero sei anni prima della storica spedizione alla Coppa d’Africa egiziana.
Gran parte del merito era di Mohammed Anwar Elahee, il più grande allenatore nella storia del calcio mauriziano, scomparso nel 2010. Mamade era stato bravo nel lavoro sul campo, ma soprattutto con intelligenza aveva saputo costruire un gruppo compatto nonostante le tante divisioni etniche che si riverberavano nel campionato locale, dove molte squadre rispecchiavano fedelmente la propria comunità di appartenenza. “Era affidabile come la banca d’Inghilterra”, scrisse una volta un giornalista inglese sul suo conto.
Elahee, però, non era un catenacciaro. Anzi, il suo giocatore prediletto, l’unico veramente indispensabile di quel Club M, era Dany Imbert, un’autentica leggenda nell’arcipelago. Se pronunci questo nome per le strade di Port Louis, molto probabilmente vedrai gli occhi della gente bagnarsi di lacrime: «Era molto tecnico, rapido e leale, ma soprattutto Dany Imbert segnava tanto. Aveva un carisma straordinario, tanto da essere rispettato anche dai suoi avversari», racconta Ashley Mocudé, un giocatore mauriziano che lo ha affrontato sui campi da gioco.
All’epoca, però, in un calcio amatoriale come quello delle Maurizio, lo sport non bastava per vivere. Mentre regalava gioie a tutta la nazione segnando contro Guinea e Repubblica democratica del Congo (all’epoca Zaire, poi vincitrice del torneo), le uniche due, storiche reti della sua nazionale in una Coppa d’Africa, Imbert era un impiegato di banca, precisamente la Mauritius Commercial Bank.
Lo ricorda molto bene Michaël Glover, un vecchio insegnante di educazione fisica molto popolare tra gli studenti dei college di Port Louis: «Come insegnante di educazione fisica, l’ho conosciuto molto anche prima che si unisse alla squadra di football del college. Successivamente – continua Glover, futuro ministro dello sport negli anni ’80 – l’ho aiutato a entrare nel Racing Club de Maurice. Era un ragazzo eccezionale, aveva molto talento, ma soprattutto a colpire di lui era la capacità di eccellere in tutte le discipline».
Attaccante coi piedi da trequartista e il guizzo da ala, Dany Imbert era un lillipuzziano in grado di prendersi gioco di Gulliver grazie alla sua tecnica in velocità. Uno di quei giocatori capaci di divertire divertendosi, magari tirando fuori dal cilindro la cosiddetta giocata che vale il prezzo del biglietto.
Proverbiali erano i suoi dribbling, ma anche la velocità supersonica, da cui il soprannome Tiloto, che dovrebbe significare qualcosa tipo “missile”: «Era un grande dribblatore. Ha deliziato molti fan del Racing Club e della selezione delle Mauritius, indossando la fascia di capitano di entrambe le squadre. Perché più di ogni altra cosa Dany Imbert era un leader», dice in un’intervista a 5plus.mu Jacques Malié, ex presidente della federazione mauriziana.
Nonostante i goal di Imbert a Guinea e Zaire, dopo la sconfitta per 2-0 al debutto con il Marocco, le Maurizio però tornarono a casa senza aver conquistato neanche un punto, ultimi nella classifica del loro gruppo. E quella vetrina, seppur ben sfruttata da Imbert, non valse al funambolo mauriziano la chiamata di un club europeo. Un’opportunità che secondo molti avrebbe meritato, come accaduto a Ned Charles, uno dei primi giocatori mauriziani a giocare in Europa, al Cercle Brugge, in Belgio.
Ne è convinto Sedley Assonne, scrittore e giornalista piuttosto noto alle Maurizio: «Ai giovani, oggi interessati al calcio straniero, dobbiamo continuare a raccontare le gesta di Dany Imbert e della nazionale del 1974. Con Ned Charles, che giocava in Belgio, Dany ha formato una grande coppia. Lo stadio George V andava in visibilio per loro».
Imbert, invece, restò fedele al Racing Club de Maurice, con cui vinse pure un campionato nel 1978. Nessun rimpianto da parte sua, fino alla morte, sopraggiunta nel 2016. Del resto, la missione per cui probabilmente era nato, l’aveva già compiuta nel ’74, dimostrando a tutti che i Dodos non solo non si erano estinti, ma erano ancora in grado di volare e sognare.