Democrazie in pericolo. In Africa e non solo - Nigrizia
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Democracy Index 2023
Democrazie in pericolo. In Africa e non solo
L’indicatore del gruppo Economist regista un calo globale che tocca il livello più basso dal 2006. Oltre la metà della popolazione mondiale vive o in paesi decisamente autoritari o in regimi che hanno aspetti autoritari marcati, concentrati in Africa e Medioriente. Su 165 nazioni esaminate l’Italia si colloca al 34° posto, tra Botswana e Capo Verde
20 Febbraio 2024
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi)
Tempo di lettura 5 minuti

L’Economist Intelligence Unit – unità del gruppo Economist specializzato in analisi sulle opportunità e i rischi degli investimenti e in rapporti globali su temi inerenti – il 15 febbraio ha reso pubblico il Democracy Index (Indice di democrazia) per il 2023.

Il rapporto, pubblicato per la prima volta nel 2006, attribuisce l’indice di democrazia a 165 paesi (più due territori) in base ad un’analisi di cinque fattori: processo elettorale e pluralismo, libertà civili, funzionamento dello stato, partecipazione e cultura politica.

In base alla media dei punteggi ottenuti, i paesi vengono classificati in 4 gruppi: democrazie complete, democrazie imperfette, regimi ibridi (vi si tengono elezioni, ma non libere e credibili, i diritti civili e politici sono ristretti, l’opposizione è fortemente scoraggiata, la corruzione è così estesa da limitare i diritti di cittadinanza, ecc…) e regimi autoritari.

Nel 2023 solo 24 paesi hanno potuto essere classificati come democrazie complete; altri 50 si sono classificati nel gruppo delle democrazie imperfette. Nei 74 paesi democratici, seppur a differenti livelli, vive meno della metà della popolazione mondiale, e precisamente il 45,4%.

La maggioranza, il 56,4%, vive o in paesi decisamente autoritari o in regimi che hanno aspetti autoritari marcati, il 39,4% e il 15,2% rispettivamente. I paesi parzialmente o totalmente autoritari sono concentrati in Africa e Medioriente. Nell’Africa subsahariana sono 37 sui 44 esaminati, cioè l’84% del totale.

Globalmente, il grado di democrazia è sceso di 0,6 punti in un anno – dal 5.29 a 5,23 – collocandosi al gradino più basso dal 2006.

L’anno scorso il paese con il punteggio più alto è risultato la Norvegia con 9,81 su 10, il massimo dei punti assegnabili; quello con il punteggio più basso è l’Afghanistan, con 0,26. L’Italia si colloca al 34° posto, nel gruppo delle democrazie imperfette, con una valutazione di 7,69, negativamente influenzata soprattutto da un punteggio basso nel funzionamento dello stato, giudicato pari a 6,79. Il nostro paese si colloca tra il Botswana, al 33° posto, e Capo Verde, al 35°.

In Africa in coda

Tra gli ultimi dieci paesi in graduatoria si trovano ben 4 paesi africani: il Sudan al 158° posto con 1,76 punti; la Repubblica democratica del Congo (RDC), al 160° posto con 1,68; il Ciad al 161° con il 1.67; la Repubblica Centrafricana (RCA), al 164° posto con 1,18.

Rispetto all’anno scorso, il Sudan è sceso di quattordici posizioni, evidentemente a causa della guerra che devasta il paese dalla metà dello scorso aprile, e il Ciad di una. La RCA ha invece mantenuto il suo posto mentre la RDC è salita di due.

Nel gruppo di coda troviamo anche: la Libia, al 157° posto con 1,78 punti, che è peggiorata di sei posizioni rispetto al 2022; la Guinea Equatoriale al 156° posto con 1,98 punti, che invece è salita di due posti; e l’Eritrea, che ha mantenuto il 152° posto, con un punteggio di 1,97.

L’Africa subsahariana ha complessivamente 4,04 punti, lo 0,10 in meno dell’anno scorso, quando ne aveva 4,14. Era partita nel 2006 con 4,24 e aveva avuto il punteggio migliore (4,38) nel 2015. Dei 44 paesi valutati, uno solo, le isole Mauritius, è stato giudicato completamente democratico, 6 sono considerati democrazie imperfette (Botswana, Capo Verde, Sudafrica, Namibia, Lesotho e Ghana), 15 sono regimi ibridi, cioè semi autoritari (tra gli altri il Kenya, l’Uganda, la Tanzania), e 22 autoritari (tra gli altri Gibuti, Eritrea, Etiopia, Sudan, Rwanda e Burundi). Alcuni paesi, come Sud Sudan e Somalia, non sono stati neppure presi in considerazione.

Democrazia screditata dalla politica

Nel giudizio sul continente ha avuto un peso particolare l’instabilità politica. 25 su 54 paesi africani hanno sperimentato uno o più tentativi di colpo di stato o conclamato golpe negli ultimi vent’anni. Dopo il colpo di stato militare in Niger del luglio scorso, l’intera fascia saheliana, dalla Guinea al Sudan, è ora governata da regimi militari.

Il rapporto osserva che la presa del potere di questi regimi è stato facilitato da un aumento dello scontento verso i sistemi politici precedenti e dalla diffusione della povertà. Secondo il rapporto, “per un crescente numero di africani, la democrazia elettorale è stata screditata dal fallimento (dei governi eletti, ndr) nell’agire secondo valori democratici e nel fornire un buon sistema di governo e un miglioramento nelle condizioni di vita”.

Punta dunque il dito su cause interne senza dimenticare però il contesto internazionale, caratterizzato da tensioni e conflitti a livello regionale e globale. Il sottotitolo scelto, Età della guerra, è indicativo di come l’indice ne sia influenzato, soprattutto in paesi già in condizioni politiche ed economiche non ottimali, che ne risentono in modo significativo.

Sottotraccia, nel rapporto si dice che l’indice di democrazia tende a diventare anche un indice di stabilità. Non a caso è sviluppato dall’Economist Intelligence Unit il cui obiettivo ultimo è analizzare il contesto per indirizzare investimenti in contesti favorevoli, e la stabilità è un requisito essenziale.

I paesi africani (e quelli mediorientali) non sembrano essere un terreno adatto. Ma l’aumento delle differenze di sviluppo non potrà che creare nuove tensioni, e di conseguenza l’indice di democrazia – nel continente, ma anche globalmente – potrebbe abbassarsi ulteriormente, seguendo il trend degli ultimi anni.

È un circuito di cui stiamo già sperimentando la pericolosità. Pensiamo, ad esempio, alle migrazioni. Dai paesi con indice di democrazia e di sviluppo bassi si muovono masse di migranti; il fenomeno migratorio è tra quelli che fomentano le spinte populiste e sovraniste che stanno mettendo a rischio le democrazie occidentali.

È una spirale che potrebbe cambiare drasticamente il contesto politico e le relazioni internazionali che hanno caratterizzato il mondo, almeno quello occidentale, dalla fine della seconda guerra mondiale.  

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