Sempre più regimi autoritari, sempre meno democrazie. Ѐ un trend generalizzato a livello globale negli ultimi anni, fotografato nel Rapporto sullo stato globale della democrazia (The Global State of Democracy Report 2021 – Building Resilience in a Pandemic Era) dell’Istituto internazionale per la democrazia e l’assistenza elettorale (Idea) che misura la performance democratica di 158 paesi, classificando i regimi come democratici, ibridi o autoritari.
Una tendenza amplificata nel 2020 – anno di riferimento del rapporto – dalle misure restrittive legate alla pandemia che hanno indebolito lo stato di diritto anche in paesi con una consolidata storia democratica.
Un’erosione che non è mai stata così alta nell’ultimo decennio e che include potenze geopolitiche ed economiche come Brasile, India e Stati Uniti. Gli autori parlano chiaramente di “democrazia messa a rischio da una tempesta perfetta di minacce (e da) una marea crescente di autoritarismo”.
Minacce, si legge nella prefazione, che “la pandemia di Covid-19 ha esacerbato attraverso l’imposizione di stati di emergenza, la diffusione della disinformazione e la repressione dei media indipendenti e della libertà di espressione”. Sul fronte pandemico a livello globale, il 64% dei paesi ha adottato una misura ritenuta sproporzionata, non necessaria o illegale per contenere la diffusione del virus.
Nel mondo, fa notare lo studio, più di un quarto della popolazione vive oggi in paesi democraticamente arretrati. Insieme a coloro che vivono in regimi completamente non democratici, costituiscono più di due terzi della popolazione del pianeta.
L’Africa non fa eccezioni
Uno scenario generalizzato anche nel continente africano – come denunciato anche da Nigrizia nel numero di novembre – dove il declino democratico degli ultimi anni inverte una tendenza al miglioramento della qualità della democrazia in corso da tre decenni. A fronte delle sole 3 democrazie e dei 42 regimi autoritari registrati nel 1985 in Africa, si era arrivati nel 2015 a contare ben 22 regimi democratici. Nel 2020, l’organizzazione classifica 18 paesi come democrazie, 19 come regimi autoritari e 13 come regimi ibridi.
La macroregione che abbraccia Medio Oriente e Nordafrica rimane la meno democratica del mondo. Qui solo la Tunisia ha un regime considerato democratico, per quando a forte rischio di regressione dopo la svolta autoritarista del presidente Saïed della scorsa estate. Esiste un regime ibrido (Marocco) e quattro regimi autoritari (Algeria, Egitto, Libia e Sudan).
Quasi tutte le democrazie (tranne due) sono nelle regioni dell’Africa meridionale e occidentale – con quattro paesi (Capo Verde, Ghana, Senegal e Sudafrica) che hanno ottenuto un punteggio elevato per quanto concerne il governo rappresentativo -, mentre non c’è democrazia nei sette paesi dell’Africa centrale. In Africa orientale solo il Kenya è inserito tra i regimi democratici, con la Tanzania in regime ibrido. Tutti gli altri sono considerati regimi autoritari.
Lo studio evidenzia, tra le altre cause, un’erosione della qualità delle elezioni e le modifiche e/o eliminazioni delle disposizioni costituzionali sui limiti del mandato presidenziale che hanno interessato 13 paesi nell’arco temporale dal 2015 al 2020 (Guinea, Togo, Uganda, Ciad, Algeria, Burundi, Rwanda, Repubblica del Congo, Sud Sudan, Repubblica democratica del Congo, Comore, Egitto e Costa d’Avorio).
E poi ci sono i rovesciamenti con colpi di mano militari in Ciad, Guinea, Mali e Sudan. “Il riemergere di cambiamenti incostituzionali di governo e transizioni assistite dall’esercito è una tendenza preoccupante”, si legge, “con l’intervento dei militari per risolvere l’impasse tra i cittadini e il governo”, in seguito a movimentazioni di proteste popolari. Lo studio fa riferimento anche ai casi, non recentissimi, di Algeria, Egitto e Zimbabwe.
Senza dimenticare la corruzione, ancora molto presente in gran parte del continente. L’organizzazione Transparency International ha evidenziato tre aree in cui la corruzione è radicata in Africa: riciclaggio di denaro, arricchimento illecito e finanziamento dei partiti. La lotta alla corruzione è minata da quadri giuridici deboli e da un’ancor più debole capacità di perseguire penalmente i reati.
Anche in Africa le restrizioni per limitare la diffusione del Covid-19 hanno ristretto le libertà civili e in molti casi sono state usate per reprimere il dissenso. Almeno 29 paesi hanno ridotto la libertà di espressione criminalizzando la disinformazione e adottando leggi che limitano la libertà di accesso a Internet. 13 paesi hanno reso la disinformazione su Covid-19 (reale o presunta) un reato punibile con il carcere.
L’uso eccessivo della forza è stato segnalato in 21 paesi e l’esercito è stato schierato in 9, tra cui Angola, Etiopia, Ghana, Sierra Leone, Sudafrica e Sudan, per far rispettare le restrizioni legate alla pandemia. Ma non solo. Le forze di sicurezza sono state schierate anche per reprimere le sempre più frequenti manifestazioni di protesta con l’adozione di misure volte a ridurre il sostegno di organizzazioni internazionali alla società civile.
Una società civile sempre più attiva e presente. Complessivamente, fa notare ancora lo studio, le aspirazioni democratiche rimangono alte e le istituzioni restistenti a cambiamenti imposti dall’alto. Così gli organi di gestione elettorale che “nel 2020 hanno mostrato resilienza e spirito di adattamento nello svolgimento delle elezioni in piena pandemia”. Da questo punto di vista, “le transizioni pacifiche in Tanzania e Zambia sono sviluppi molto positivi nel continente”. Con alcuni paesi, come Kenya, Malawi e Sudafrica, nei quali “la magistratura si è dimostrata ferma nel bloccare gli eccessi dell’esecutivo”.
Il declino dei sistemi democratici in Africa, assicura l’Istituto per gli studi sulla sicurezza (Institute for Security Studies – Iss) è un orizzonte ancora lontano.