M23 guadagna 300mila dollari al mese dal coltan della Rd Congo
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La capo della MONUSCO, Keita: «Il contrabbando di risorse va fermato»
La denuncia dell’ONU: l’M23 guadagna 300mila dollari al mese dal coltan della Rd Congo
La dirigente denuncia inoltre l'aumento delle violenze sessuali nel conflitto
01 Ottobre 2024
Articolo di Brando Ricci
Tempo di lettura 5 minuti
SRSG visits coltan mine in Rubaya
Miniere nei pressi di Rubaya. Foto dal profilo Flickr di Monusco

I contorni del saccheggio delle risorse del Nord-est della Repubblica democratica del Congo a opera di milizie armate (e dei loro paesi sponsor) iniziano a farsi sempre più chiari.

Denunciato da anni da Kinshasa, che punta il dito soprattutto sull’M23 e sul Rwanda che lo sostiene, il furto delle materie prime congolesi è stato menzionato a chiare lettere in settimana anche da Bintou Keita, rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite in Rd Congo nonché guida della missione dell’ONU nel paese, la MONUSCO. Le parole della dirigente fanno eco a quanto sostenuto dal gruppo di esperti dell’ONU sulla Rd Congo già da tempo. 

La premessa è che l’M23 ha lanciato un’offensiva nell’oriente congolese sul finire del 2021 ed è arrivata adesso a controllare una buona porzione del territorio della provincia nord-orientale del Nord Kivu, e con questa anche le miniere di coltan nella zona di Rubaya, nel territorio di Masisi. Da questa area, secondo quanto affermato da Keita, proviene circa il 15% del commercio mondiale di tantalio, uno degli elementi che compone la miscela complessa che viene chiamata comunemente coltan, ovvero la columbite-tantalite.

Rubaya

Il controllo dei siti minerari di Rubaya, secondo quanto riferito dalla dirigente dell’ONU, e in modo particolare l’imposizione di una tassa sulla produzione, «genera un fatturato stimato di 300mila dollari al mese per il gruppo armato». Una dinamica questa, ha affermato Keita, «profondamente preoccupante e che deve essere fermata».

La rappresentante speciale ha poi spiegato: «Il riciclaggio criminale delle risorse naturali della Rd Congo, contrabbandate fuori dal paese, sta rafforzando i gruppi armati, alimentando lo sfruttamento delle popolazioni civili, alcune delle quali ridotte di fatto in schiavitù, e minando gli sforzi di pacificazione».

Quanto affermato da Keita va messo a sistema con quanto il gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla Rd Congo sostiene con sempre più forza da mesi, di fatto confermando le denunce di Kinshasa.

In un report rivolto al Consiglio di sicurezza dello scorso luglio infatti, gli studiosi hanno evidenziato come il Rwanda non si stia più solo limitando a sostenere l’M23 a livello finanziario o logistico, ma lo stia accompagnando sul campo con circa 4mila militari secondo stime «conservative». Si tratta di un numero di unità che è pari se non è superiore a quello di tutti i componenti della milizia, fondata da ex militari congolesi insubordinati e composta per lo più da appartenenti alla comunità tutsi.  

Sebbene Keita non abbia mai citato il Rwanda espressamente, è chiaro che quando cita il contrabbando di risorse congolesi fuori dal paese da parte dell’M23 stia facendo riferimento a Kigali. Del resto, a spiegare nei dettagli il funzionamento del commercio illegale di tantalio dalle miniere di Rubaya erano stati in passato altri report del gruppo di esperti dell’ONU.

A citarlo di recente è stato anche lo studio legale che si è incaricato per conto del governo congolese di chiedere alla multinazionale statunitense Apple di dimostrare di non utilizzare minerali che il Rwanda contrabbanda dalla Rd Congo. In un report che gli avvocati hanno inviato a Cupertino si fa esplicito riferimento anche alla situazione di Rubaya.

Nel corso degli anni – si legge nel rapporto, che cita un precedente documento dell’ONU del 2022 – il contrabbando del tantalio di Rubaya verso il Rwanda e attraverso Goma (il capoluogo del Nord Kivu, ndr) è aumentato in modo costante». In Rwanda i minerali vengono poi certificati come originari del paese e immessi lungo la filiera, fino ad arrivare anche alle grandi compagnie internazionali. 

Aumentano ancora le violenze sessuali

Non da ultimo, fare luce su questi traffici aiuta a chiarire un’apparente anomalia statistica che riguarda il commercio internazionale di coltan. Nel 2023 infatti, il principale esportatore del minerale è stato il Rwanda, come già avvenuto altre quattro volte negli ultimi dieci anni. Un dato che stupisce, visto che il paese dispone di un numero di miniere molto inferiore alla vicina Rd Congo.

In una sua analisi dello scorso aprile, lo European Network Against Crime and Terrorism (ENACT), sostiene che «è probabile che la maggior parte del minerale esportato dal Rwanda sia di origine congolese», anche perchè Kigali consente di qualificare come originari del paese «a condizione che subiscano una lavorazione in loco con un valore aggiunto pari ad almeno il 30%».

Nel corso del suo intervento al Consiglio di sicurezza, Keita ha denunciato inoltre il tragico di aumento di violenze sessuali e di genere nel contesto del conflitto in corso nel Nord-est del Congo. Solo nei primi sei mesi dell’anno in corso, secondo la diplomatica dell’ONU, organizzazioni umanitarie hanno dovuto sostenere 61mila donne e ragazze vittime di abusi, con un aumento del 10% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Keita ha anche sottolineato l’importanza di portare avanti un negoziato politico per porre fine al conflitto, elogiando i risultati finora raggiunta dal processo di Luanda, quadro negoziale fra Rd Congo e Rwanda che vede la mediazione del presidente angolano João Lourenço. Keita ha però ribadito che la pace sarà irraggiungibile senza un concreto impegno sul campo da parte delle comunità coinvolte. 

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