Haiti condanna il piano delle deportazioni di massa di suoi migranti lanciato dalla Repubblica Dominicana, che con il paese caraibico condivide il territorio dell’isola di Hispaniola.
Mentre nel paese proseguono la violenza delle bande armate, l’instabilità politica e la critica mancanza di servizi alla popolazione, ormai stremata, le autorità della vicina Repubblica Dominicana hanno dichiarato di aver deportato la settimana scorsa più di 10mila haitiani privi di documenti.
Santo Domingo prevede di condurre questo tipo di trasferimenti forzati con cadenza settimanale. Già quelli di questi giorni oggi, con i prima 10mila, costituiscono delle più grandi deportazioni di questo tipo della storia recente.
Per Haiti si tratta di razzismo
L’annuncio ha spinto i funzionari haitiani a convocare una riunione d’emergenza dell’Organizzazione degli stati americani (OSA), dove il rappresentante haitiano Gandy Thomas ha definito le ultime azioni come «una strategia di pulizia etnica» e «una campagna discriminatoria contro gli haitiani a causa della loro nazionalità e del colore della pelle».
Allo stesso tempo, Thomas ha invocato l’apertura di un dialogo aperto sul tema, avvertendo del possibile impatto negativo delle deportazioni sulle già fragili infrastrutture haitiane. Le persone ricondotte nel paese sono infatti prive di risorse e di sostegno.
Come detto poi, Haiti sta anche facendo i conti con una gravissima crisi economica e di sicurezza, che prosegue da anni ma che ha raggiunto una fase di particolare violenza negli ultimi mesi.
Proprio nell’ottica di contenere questa escalation, dal giungo scorso centinaia di poliziotti kenyani operano nel paese nell’ambito di una forza multinazionale di sicurezza finanziata dagli Stati Uniti e guidata da Nairobi.
Oggi 11 ottobre il premier haitiano Garry Conille ha incontrato a Nairobi il presidente kenyano William Ruto, che si era a sua volta recato nei Caraibi meno di un mese fa, per discutere dello stato della missione. Ruto ha annunciato l’invio di ulteriori 600 agenti del Kenya, oltre ai 400 che già stazionano ad Haiti.
Secondo quanto riferito dal Jesuit Migrant Service (SJM) di Haiti, tra i deportati non ci sono solo haitiani, ma anche dominicani di origine haitiana e dominicani neri che non hanno mai vissuto in Haiti.
Anche diverse figure note haitiane, straniere o della diaspora, tra cui scrittori, accademici, artisti e attivisti, hanno condannato le ultime deportazioni in una lettera aperta indirizzata al presidente dominicano Luis Abinader.
I promotori dell’appello condannano quanto avvenuto e chiedono, tra le altre cose, la fine delle deportazioni di massa e il ripristino della nazionalità delle persone incostituzionalmente denazionalizzate nel 2013.
Il riferimento è una controversa sentenza del Tribunale costituzionale dominicano che 11 anni fa privò della nazionalità da un giorno all’altro oltre 200mila discendenti di migranti, per la stragrande maggioranza di origine haitiana, in virtù di una lettura retroattiva ad alcuni emendamenti della normativa in fatto di immigrazione e della Costituzione.
La misura, duramente contestata da organizzazioni in difesa dei diritti umani locali e internazionali, interviene addirittura sullo status legale delle persone nate a partire dal 1929.
Contro il diritto internazionale
«In un momento in cui la vicina Haiti sta affrontando una delle sue peggiori crisi politiche e catastrofi umanitarie – si legge nella missiva -, avete scelto di renderla più vulnerabile e di promuovere l’odio e il caos. Vi esortiamo a fermare immediatamente questo piano di deportazione di massa».
Nel documento viene ricordato anche che la deportazione di massa di una comunità emarginata è una pratica condannata dal diritto internazionale. Secondo gruppi locali per la difesa dei diritti umani, in Repubblica Dominicana vivono almeno mezzo milione di haitiani.